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COSTANTINO: IN HOC SIGNO VINCES

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Con Diocleziano sovrano scompare l’ultimo residuo dell’antica forma di governo repubblicana di Roma. La vecchia Roma era morta. Il suo Senato aveva perso l’ultimo residuo di rispettabilità. Vedendo la necessità di un Paese più unito e di un governo più saldo, Diocleziano associò a sé Massimiano, un gigantesco soldato, che segnalò la sua ascesa sottomettendo una pericolosa rivolta in Gallia. Nominò anche due ufficiali, Galerio e Costanzo, che chiamò Cesari, uno responsabile dell’Oriente e l’altro dell’Occidente. Per mezzo di questi aiutanti, egli represse tutte le rivolte, rafforzò il potere in declino dell’Impero e impose al mondo la pace e il buon ordine. In seguito, Diocleziano e Massimiano si dimisero e permisero ai loro due Cesari di assumere il rango di Augusti, e questi nominarono a loro volta dei Cesari come assistenti. Poco dopo la sua ascesa Costanzo morì e suo figlio Costantino fu proclamato Cesare, contro la volontà di Galerio. Seguì un’aspra lotta, durante la quale Costantino superò tutti i suoi avversari e fu dichiarato unico imperatore. Per i suoi successi fu chiamato il Grande.

Statua di Costantino il Grande a Yorck, Inghilterra
Statua di Costantino il Grande a York, Inghilterra

Constantino I, Flavio Valerio Aurelio o Costantino Magno e anche Costantino il Grande (dal soprannome latino Magnus appunto, “il Grande”) fu imperatore dei romani dal 306 al 337 d.C. Figlio maggiore (ma illegittimo) dell’imperatore Costanzo Cloro dalla sua prima moglie Elena (descritta da Sant’Ambrogio come una locandiera).

I praenomina Lucius, Marcus e Gaius si trovano in varie iscrizioni. In realtà Costantino, come suo padre e i suoi successori, non portava alcun praenomen. La sua età alla morte è indicata in maniera discorde dalle fonti: 62 anni (Aur. Vict.), 63 anni (Epit. de Caes), 64 anni (Euseb.), 65 anni (Zonaras e Socrate) e 66 anni (Eutropio)

Lo storico tedesco Otto Seeck pone la nascita di Costantino intorno all’anno 288 d.C. (oggi si tende a fissarla tra il 272 e il 274 a.C.)


Quando Diocleziano e Massimiano si ritirarono e i nuovi Augusti, Galerio e Costanzo nominarono i propri Cesari (rispettivamente Massimino II Daia e Severo II), si creò comunque una lotta per il potere che vide emergere tre personaggi: 

 Massenzio: figlio di Massimiano
Costantino: figlio di Costanzo I avuto da un precedente matrimonio 
Licinio: Figlio adottivo di Diocleziano

La tetrarchia era fallita.

La primavera di un futuro imperatore

Costantino nacque nel mese di febbraio nel 272 d.C. Ci sono molte opinioni diverse riguardo al suo luogo di nascita; ma è molto probabile, ed è ora generalmente riconosciuto, che sia nato a Naissus (ora Niš in Serbia), una città ben nota in Dardania o nella parte superiore e meridionale della Mesia (Moesia Superior). 

Costantino si distinse per le migliori doti della natura umana, ma la sua educazione fu principalmente militare. Quando suo padre ottenne, nel 292, il comando supremo come Cesare della Gallia, della Britannia e della Spagna (a quel tempo l’impero era diviso tra i due Augusti, o imperatori, Massimiano e Diocleziano) egli non lo accompagnò, ma rimase presso l’imperatore Diocleziano come una specie di ostaggio per garantire la fedeltà dei suoi genitori, e fu accanto all’imperatore nella sua celebre spedizione in Egitto.

Testa dell'acrolito monumentale di Costantino, conservata ai Musei Capitolini a Roma
Testa dell’acrolito monumentale di Costantino, conservata ai Musei Capitolini a Roma

Dopo la conquista di Alessandria e la pacificazione di quel paese nel 296 d.C., Costantino prestò servizio sotto Galerio nella guerra persiana, che portò alla conquista e alla cessione finale ai romani dell‘Iberia, dell’Armenia, della Mesopotamia e dei paesi adiacenti; vittoria per la quale Diocleziano e Massimiano celebrarono un trionfo a Roma nel 303.

In queste guerre Costantino si distinse tanto per coraggio personale quanto per le sue superiori doti militari, che lo fecero divenire il favorito dell’esercito e fu nominato per ricompensa tribunus militum di prima classe. Tuttavia non gli fu permesso di godere tranquillamente degli onori che meritava così giustamente. Nella sua posizione di quasi ostaggio, fu esposto alle macchinazioni degli ambiziosi e di chi era geloso dello status che ricopriva. I pericoli da cui era circondato alla corte, aumentarono dopo l’abdicazione di Diocleziano e di Massimiano e l’ascesa di suo padre e di Galerio come imperatori (305 d.C.).

Vita da ostaggio e fuga

Continuò a vivere in Oriente sotto il controllo di Galerio, la cui avversione nei suoi confronti, per via delle superiori qualità di Costantino, era così grande, che meditò la sua rovina esponendolo a vari pericoli personali, dai quali Costantino tuttavia scampò illeso. In tali circostanze egli fu costretto a coltivare e migliorare la sua naturale prudenza e sagacia, e ad abituarsi a quella riservatezza e discrezione a cui in seguito dovette una parte considerevole della sua grandezza, il che era tanto più notevole in lui poiché era naturalmente di un carattere ben più schietto e impetuoso.

La gelosia di Galerio diventava sempre più grande, tanto che egli conferì la dignità di Cesare solo ai suoi figli, Severo e Massimino, dignità alla quale Costantino sembrava avere più diritto, per nascita e meriti, ma che gli fu negata da Galerio e non conferitagli neppure da suo padre. In ciò, tuttavia, Costanzo Cloro agì saggiamente, poiché siccome suo figlio era ancora nelle mani di Galerio, egli, agendo altrimenti, avrebbe causato la sua immediata rovina se lo avesse proclamato Cesare; così che se Costantino provava delusione per tutto ciò, poteva in realtà sentirsi deluso solo per non trovarsi assieme a suo padre.

Quando riuscì a raggiungerlo, egli diverrà protagonista del grande progetto politico che essi elaboreranno insieme. A tal fine furono condotti dei negoziati con Galerio, il quale, consapevole delle conseguenze della partenza di Costantino, ritardò il suo consenso con ogni mezzo in suo potere, finché alla fine esaurì tuti i pretesti possibili e fu costretto a aiutare il giovane a unirsi a suo padre. Temendo giustamente di essere arrestato ancora una volta o di essere stroncato da un tradimento durante il suo viaggio, Costantino non appena ottenuto il permesso di Galerio, partì da Nicomedia, dove entrambi risiedevano, senza congedarsi dall’imperatore. Si racconta infatti che quella di Costantino fu una vera e propria fuga, tanto che per impedire il suo inseguimento, egli arrivò a mutilare tutti i cavalli di cui si sarebbe potuti servire le guardie di Galerio

Costantino intraprese dunque il suo viaggio attraverso la Tracia, Illirico, Pannonia e Gallia con tutta la rapidità possibile, finché raggiunse il padre a Boulogne giusto in tempo per accompagnarlo in Britannia nella sua spedizione contro i Pitti, e per essere presente alla sua morte a York (25 luglio 306). Prima di spirare, Costanzo dichiarò suo figlio come proprio successore.

Aut Augustus aut nihil (…con prudenza però; anche essere un Cesare per ora va bene)

Cornel Wilde in Costantino il Grande, film del 1961, diretto da Lionello De Felice
Cornel Wilde in Costantino il Grande, film del 1961, diretto da Lionello De Felice. Questo film peplum fu una coproduzione italo-jugoslava (Costantino era nato nell’odierna Serbia). Poiché all’epoca la ex-Jugoslavia era una Repubblica Socialista sotto il regime del Maresciallo Tito (quindi uno Stato sotto l’influenza politica sovietica), sorge spontanea la domanda su cosa abbia spinto, a parte l’intento propagandistico e nazionalistico di celebrare un loro illustre connazionale (per di più imperatore), un governo comunista e dunque ateo, a finanziare un biopic sul primo imperatore romano cristiano della storia, con tanto di immancabile visione della croce divina con su scritto “In hoc signo vinces” (il titolo inglese del film è addirittura “Constantine and the Cross”, neanche a dire che l’episodio poteva essere disinvoltamente tagliato). Costantino sarà stato molte cose, tra cui sicuramente un precursore dell’assolutismo politico e dunque delle dittature, ma un possibile eroe di stampo socialista, beh questa è un po’ più difficile da far passare.

 

Per Costantino era giunto il momento della scelta: impadronirsi del potere supremo, cadere vittima di una morte oscura o vivere per sempre nell’ombra. Era ormai famoso per via delle sue vittorie in Oriente, ammirato dalle legioni e amato dai sudditi di Costanzo, sia pagani che cristiani, che non esitavano a credere che il figlio avrebbe seguito l’esempio di giustizia, tolleranza ed energia tracciato dal padre. Le legioni lo proclamarono imperatore; gli ausiliari barbari, capeggiati da Croco, re degli Alemanni, lo riconobbero anch’essi come tale; tuttavia egli esitò a porsi in capo il fatale diadema.

Ma in realtà il suo indugiare era mera finzione; era ben preparato indossare la corona; e con la rapida energia con cui agiva, diede un esempio di quella meravigliosa combinazione di audacia, astuzia e saggezza, nella quale solo pochi grandi uomini lo hanno superato. In una lettera dai toni concilianti rivolta a Galerio, dichiarò che non aveva preso la porpora per proprio conto, ma perché spinto dalle truppe a farlo, e chiese di essere riconosciuto come Augusto.

Allo stesso tempo aveva già compiuto tutti i preparativi necessari per scendere in campo con le forze lasciategli da suo padre, se Galerio avesse rifiutato di esaudire la sua richiesta. Ma Galerio temeva una lotta contro le coraggiose legioni dell’Occidente, guidate da un uomo come Costantino e temprate dalla lotta contro i Franchi e gli Alamanni, mentre le difese del Reno erano state di nuovo assicurate con la costruzione di un ponte a Colonia Agrippina (Colonia)

Galerio dissimulò quindi il suo risentimento, e riconobbe Costantino padrone dei paesi d’oltralpe, ma assegnandogli solo titolo di Cesare, mentre conferì la dignità di Augusto al proprio figlio Severo.

Tra i due litiganti…il terzo è Massenzio

Costantino, Impero Romano, Imperia, 1963
Costantino, Impero Romano, Imperia, 1963

La pace nell’impero fu di breve durata. La rapacità di Galerio, la sua assenza dalla Capitale dell’Impero, e probabilmente anche la volontà di emulare l’esempio di Costantino, fecero scoppiare in Roma una ribellione, che portò Massenzio, figlio di Massimiano, a prendere la porpora (Massenzio non era né Augusto né Cesare, ma aveva ora il controllo dell’Italia e del Nord Africa.); e quando Massimiano stesso ne fu informato, questi lasciò il suo ritiro e riprese il diadema, cui egli aveva prima rinunciato con il suo collega Diocleziano. La conseguenza della loro ribellione fu una guerra con Galerio, il cui figlio, Severo Augusto, entrò in Italia con grandi forze; ma la sua avanzatà si arrestò a Ravenna; ed egli, incapace di difendere la città o di fuggire, si arrese agli assedianti, venendo quindi messo a morte a tradimento per ordine di Massenzio (307 d.C.) Galerio scelse C. Valerio Liciniano Licinio come Augusto invece di Severo, e fu costretto a riconoscere anche le pretese di Massimino, che era stato proclamato Augusto dalle legioni sotto il suo comando, di stanza in Siria e in Egitto.

Sei imperatori? Non saranno un tantino troppi?

L’Impero Romano obbediva così ora a sei Signori: Galerio, Licinio e Massimino in Oriente, e Massimiano, Massenzio e Costantino in Occidente (308). L’unione tra i padroni d’Occidente fu cementata dal matrimonio di Costantino, la cui prima moglie Minervina era morta, con Fausta, figlia di Massimiano, avvenuto già nel 306; e nello stesso tempo Costantino fu riconosciuto come Augusto sia da Massimiano che da Massenzio. Costantino e Massimiano detennero il consolato, che tuttavia non fu riconosciuto in Oriente. Galerio invase quindi l’Italia, ma fu costretto da un ammutinamento delle sue truppe a ritirarsi dalle porte di Roma. Massimiano esortò Costantino ad attaccare sul fianco l’esercito in ritirata, ma questi dimostrò ancora una volta la sua determinazione a percorrere la strada del riconoscimento legittimo, piuttosto che dell’usurpazione.

Ben presto fra Massenzio e Massimiano, cioè tra padre e figlioscoppiarono subito delle dispute molto serie; quest’ultimo fu costretto dal figlio a fuggire da Roma, e infine riparò presso Costantino, dal quale fu ben accolto.

Nel 308 Diocleziano e Galerio tennero una conferenza a Carnuntum e decisero di annullare le azioni dei governanti occidentali. Massimiano fu messo da parte, Licinio fu investito della porpora come Augusto d’Occidente (11 novembre), mentre il titolo di filius Augustorum fu conferito a Costantino e Massimino Daia, e il primo fu destinato a un primo consolato (quello del 307 fu scavalcato) per il 309. Costantino, con la sua consueta unione di prudenza e decisione, ignorò tacitamente questo accordo; continuò a portare il titolo di Augusto e nel 309, quando fu proclamato console (con Licinio) in Oriente, non furono riconosciuti altri consoli nei suoi domini.

Massimiano abdicò ancora una volta al trono; ma durante l’assenza di Costantino, che era allora sul Reno a respingere i Franchi, riassunse di nuovo la porpora ad Arelate (Arles), ed entrò in segrete trattative proprio col figlio ribelle Massenzio, allo scopo di portare Costantino alla rovina.

Sei mio suocero, ma ti ammazzo lo stesso

La battaglia di Ponte Milvio, L'impero Romano, Imperia, 1963
La battaglia di Ponte Milvio, L’impero Romano, Imperia, 1963

Tuttavia i complotti di Massimiano furono scoperti da Costantino, che alla notizia della sua ribellione aveva già lasciato il Reno, e, trasportate le sue truppe su grandi barche, stava discendendo la Saona e il Rodano. Costantino apparve quindi sotto le mura di Arles, dove allora risiedeva Massimiano, costringendolo a rifugiarsi a Massilia (Marsiglia). La città fu subito assediata; gli abitanti rinnegarono Massimiano, e Costantino represse così la ribellione con uno di quegli atti di sanguinosa energia che il mondo esita a chiamare assassinii, giustificando questi delitti con la ragion di stato: i re del mondo non possono mantenersi sui loro troni senza spargimenti di sangue. Massimiano fu messo a morte (309 d.C.); aveva meritato questa punizione, ma era pur sempre il padre della moglie di Costantino. La storia raccontata poi nel De mortibus persecutorum (cap. 30) di una successiva congiura di Massimiano, fallita grazie alla fedeltà di Fausta, è molto probabilmente una finzione.

Poiché il titolo legale di Costantino come capo dell‘Impero d’Occidente si basava sul suo riconoscimento da parte di Massimiano, egli dovette ora cercare un nuovo fondamento di legittimità, e lo trovò nell’affermazione della sua discendenza da Claudio il Gotico, che fu dichiarato esser il padre di Costanzo Cloro. Questa è la versione primaria della storia, contenuta nel settimo panegirico di Eunenio, pronunciato a Treviri nel 310 d.C. Sembra che i cristiani si sentirono poi offesi da questa origine illegittima attribuita a Costanzo, e allora la storia venne modificata e Claudio divenne zio dell’imperatore.  La pazienza di Costantino fu presto ricompensata.

Costantino verso il potere assoluto (non senza crudeltà)

L’autorità di Costantino era ormai assoluta nei suoi domini. Risiedeva generalmente a Treviri (Trèves) ed era molto amato dai suoi sudditi grazie anche alla sua eccellente amministrazione degli affari di stato. Le incursioni dei Barbari furono da lui punite con grande severità: i Capi prigionieri dei Franchi furono condannati ad essere divorati dalle fiere nel Circo di Treviri, e molti sediziosi o ribelli subirono la stessa barbara punizione. Queste occasionali crudeltà non pregiudicarono la sua fama agli occhi del popolo; tra gli Imperatori che allora governarono il mondo, Costantino era senza dubbio il più amato, circostanza che gli fu di grande vantaggio quando iniziò la sua lotta definitiva contro i restanti suoi rivali.

Nel 311 morì Galerio e Massimino Daia (che aveva assunto il titolo di Augusto nel 310) marciò subito verso le rive del Bosforo e contemporaneamente entrò in trattative con Massenzio. Ciò portò Licinio ad allearsi con Costantino, il quale gli promise in sposa la sorellastra Costanza.

Vi siete persi? Facciamo un rapido punto della situazione!

Il figlio di Massimiano, Massenzio, si oppose fortemente alla propria esclusione dalla successione, così come il figlio di Costanzo, Costantino.
Nel 306 Costanzo morì a York, in Britannia, durante una campagna militare. Le sue truppe rifiutarono come suo successore Severo II e dichiararono subito imperatore il figlio di Costanzo, Costantino.

Galerio furioso per l’insubordinazione, rimase tuttavia molto cauto per non far scoppiare una guerra civile. Così si raggiunse un compromesso: Severo II sarebbe diventato Augusto in Occidente, come previsto, e Costantino sarebbe diventato il Cesare di Severo dunque il suo erede.

Ma accaddero degli imprevisti. Il figlio di Massimiano, Massenzio, si sentiva tagliato fuori da ogni spartizione, quindi scese in campo pronto a far valere le sue pretese con le armi. Gli eventi successivi determinarono un’anarchia e un’instabilità politica che durò tra il 305 e il 308:

  • 1- Massenzio guidò un colpo di stato a Roma e richiamò il padre Massimiano, che divenne nuovamente imperatore.
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  • 2- Galerio inviò allora Severo II contro i due usurpatori, ma i suoi stessi soldati gli si ribellarono contro e Severo venne imprigionato e ucciso.
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  • 3- Massimiano diede in sposa la figlia Fausta a Costantino e lo fece diventare così Augusto in Occidente.
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  • 4- Galerio tentò di impadronirsi di Roma, ma fu costretto a ritirarsi.
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  • 5- Massimiano ruppe i rapporti con il figlio Massenzio e fu costretto a rifugiarsi da Costantino.
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  • 6- Seguì una conferenza di pace nel 308, alla quale parteciparono sia Diocleziano che Massimiano. In questa conferenza Massenzio fu dichiarato nemico pubblico, Costantino fu degradato a Cesare, cosa che egli si rifiutò di accettare, mentre Licinio, compagno di Galerio, fu nominato Augusto in Occidente. A Massimiano fu imposta di nuovo l’abdicazione. 

    Nel 308, quindi, la situazione era la seguente:

  •  In Oriente, l’Augusto era Galerio, con Massimino II Daia come suo Cesare.
  •  
  •  In Occidente, l’Augusto era Licinio, con Costantino come suo Cesare.

Ma in barba a tutti, forte delle sue truppe, l’usurpatore Massenzio controllava sia l’Italia e che il Nord Africa.

Costantino vs Massenzio

L'insegna di Costantino, L'impero Romano, Imperia, 1963
L’insegna di Costantino, L’impero Romano, Imperia, 1963

Massenzio, fingeva di provare risentimento per la morte del padre, insultò allora Costantino, e dalle parole procedette ai fatti con dimostrazioni di ostilità.

Radunata una grande forza in Italia, Massenzio intendeva invadere la Gallia, ma  l’avversione dei suoi sudditi verso di lui, per via del suo carattere crudele e rapace, era così grande, che i deputati romani si recarono al cospetto di Costantino implorandolo di liberarli da quel tiranno.

Costantino era ben consapevole dei pericoli ai quali si esponeva attaccando Massenzio, il quale aveva dalla sua parte un numeroso esercito, composto principalmente di veterani che avevano combattuto sotto Diocleziano e Massimiano. Ma allo stesso tempo l’esercito di Costantino era stato reso ben disciplinato ed avvezzo a combattere, durante le faticose campagne contro i valorosi Barbari della Germania, e mentre il suo rivale veniva solo obbedito dai soldati, Costantino godeva anche del rispetto sia delle sue truppe che dei suoi sudditi.

Nella primavera del 312, Costantino attraversò le Alpi, prima che Massenzio, costretto a reprimere la ribellione di Domizio Alessandro in Africa, avesse completato i suoi preparativi.

In hoc signo vinces

La stima sull’entità delle forze effettive comandate da Costantino, è di natura incerta; secondo il suo Panegirista (che forse le ha sottovalutate) erano composte da circa 25.000 uomini, secondo Zonara, erano quasi 100.000. Egli Prese d’assalto Susa, sconfisse i generali di Massenzio a Torino e a Verona e marciò dritto verso Roma. Questa mossa audace e quasi disperata, che contrasta fortemente con l’abituale cautela di Costantino, e che sembrava destinata a ripetere l’esito fallimentare delle imprese di Severo e di Galerio, fu, a quanto pare, dettata da un evento che, come narrato nella Vita di Costantino di Eusebio, assume la forma di un miracolo eclatante: la Visione della Croce fiammeggiante, apparsa nel cielo a mezzogiorno con la leggenda “Con questo segno, vincerai”, e che portò alla conversione di Costantino al cristianesimo.

Per guadagnarsi il più ampio affetto da parte del popolo infatti, Costantino aveva protetto i Cristiani nei suoi propri domini, e aveva persuaso Galerio e Massimino a porre fine alle persecuzioni a cui essi erano esposti in Oriente.

Monogramma di Cristo con le lettere Chi e Ro, pannello da un sarcofago romano del 350 d.C.
Monogramma di Cristo con le lettere Chi e Ro, pannello da un sarcofago romano del 350 d.C.

Questa fu una misura più che altro dettata dalla prudenza, ma i cristiani, pieni di un crescente entusiasmo, erano ormai convinti che con Costantino, che dava loro sempre nuovi segnali in questo senso, il cristianesimo sarebbe diventato l’elemento portante di un nuovo impero, il cui sovrano avrebbe avuto il pieno potere, qualora avesse riconosciuto la nuova religione.

Perciò, i Cristiani interpretarono l’atteggiamento politico religioso del futuro imperatore assoluto, come dettato all’ispirazione divina, e così si credette poi alla leggenda che racconta che durante la sua marcia verso l’Italia – chi dice ad Autun in Francia, chi a Verona o vicino ad Andernach sul Reno in Germania – Costantino ebbe appunto questa visione: sognò una croce con la scritta ἐν τούτῳ νίκα (en toùto nika – in latino “In hoc signo vinces” , “Con questo segno, vincerai.”). Così, si dice, adottò la croce come emblema delle sue truppe, e sotto quel segno alla fine, vinse.

Verità o leggenda?

Eusebio afferma di aver sentito la storia della visione dalle labbra di Costantino, ma egli scrisse dopo la morte dell’imperatore. L’autore del De mortibus persecutorum, che sia Lattanzio o un altro, era un contemporaneo ben informato, e ci dice che il segno fu visto da Costantino in sogno; anche Eusebio integra la visione diurna con un sogno nella notte successiva. In ogni caso, Costantino, forse impressionato dalle disgrazie che avevano colpito i più strenui oppositori del cristianesimo, adottò il monogramma come suo emblema e puntò tutto su quello.

Il nome labarum, dato agli stendardi militari che recano il monogramma di Cristo (Le lettere dell’alfabeto greco, Chi-Rho χ-ρ, iniziali appunto del nome di Cristo, Χριστός’ – Khristòs, in greco), ha un’origine sconosciuta. Lattanzio dice che il simbolo era raffigurato sugli scudi delle truppe di Costantino.Il làbaro era appunto un’asta con una barra traversale in forma di croce, da cui pendeva un drappo portante i ritratti dell’imperatore e della sua famiglia. La sommità dell’asta era sormontata da una corona d’oro racchiudente il monogramma di Cristo.

 

La battaglia di Ponte Milvio

Massenzio annega nelle acque del Tevere, Impero Romano, Imperia, 1963
Massenzio annega nelle acque del Tevere, Impero Romano, Imperia, 1963

Costantino, come abbiamo dettoattraversò le Alpi Cozie (Moncenisio, Monte Cénis), sconfisse l’avanguardia di Massenzio a Torino, entrò a Milano e pose l’assedio a Verona, sotto le mura delle quali Massenzio subì una dura sconfitta.

Un’altra battaglia combattuta vicino a Roma il 28 ottobre 312, decise definitivamente la sorte di Massenzio: il suo esercito fu completamente sconfitto, e mentre cercava di fuggire attraverso il ponte Milvio a Roma, fu spinto dalla folla dei fuggiaschi, precipitando nel Tevere e morendo annegato nel fiume.  

 

Massenzio, confidando nella superiorità numerica – si dice che avesse a disposizione 170.000 fanti e 18.000 cavalieri, ma questo totale probabilmente non include le forze sconfitte da Costantino nell’Italia settentrionale – marciò fuori da Roma e si preparò a contendere il passaggio del Tevere al Pons Mulvius (Ponte Milvio, detto anche Ponte Mollo), accanto al quale fu costruito un ponte di barche. Le nostre fonti non forniscono un resoconto soddisfacente della battaglia che ne seguì; Aurelio Vittore la colloca a Saxa Rubra, affermazione accettata da Moltke e da altri studiosi moderni.

È più probabile, come ha dimostrato Seeck, che mentre la testa della colonna di Massenzio potrebbe aver raggiunto Saxa Rubra (che si trova a qualche chilometro a nord di Ponte Milvio, sulla Via Flaminia), Costantino, con un rapido movimento di svolta, raggiunse la Via Cassia e attaccò la retroguardia di Massenzio presso il ponte, costringendolo a combattere nello stretto spazio tra le colline e il Tevere. L’esercito che Costantino aveva addestrato per sei anni dimostrò subito la sua superiorità.

La cavalleria gallica travolse l’ala sinistra del nemico nel Tevere, ingrossato dalle piogge autunnali, e con essa perì Massenzio, a causa, come si disse, del crollo del ponte di barche (28 ottobre). Il resto delle sue truppe si arrese a discrezione e fu incorporato da Costantino nei ranghi del suo esercito, ad eccezione della guardia pretoriana, che fu infine sciolta.

Che la battaglia sia stata chiamata da subito come “Battaglia del ponte Milvio” è indicato da un rilievo e da un’iscrizione di Cherchel (C.I.L. viii. 9356).

Costantino entra in Roma, Imperia 1963
Costantino entra in Roma, Imperia 1963

 

Costantino unico imperatore d’Occidente

Costantino entrò in Roma, e mostrò la sua grande volontà di ristabilire la pace in questa città, e nel rimuovere le cause dei frequenti tumulti che vi avvenivano, e da cui Roma era stata scossa durante il regno di Massenzio; sciolse quindi il corpo dei Pretoriani, e affinché l’Impero potesse trarre qualche vantaggio dall’esistenza dei Senatori, sottopose loro e le loro famiglie ad una pesante tassa sul voto. Accettò anche il titolo di Pontifex Maximus, a dimostrazione che, almeno in quel periodo, non aveva la minima intenzione di elevare il cristianesimo a spese del paganesimo.

 

Cornel Wilde  nel ruolo di Costantino, in una scena del film, Costantino il, Grande, 1961
Cornel Wilde nel ruolo di Costantino, in una scena del film, Costantino il, Grande, 1961

L’editto di Milano

Costantino divenne così padrone indiscusso di Roma e dell’Occidente e il cristianesimo, pur non essendo ancora adottato come religione ufficiale, si assicurò con l’editto di Milano la tolleranza di culto in tutto l’Impero. Questo editto fu il risultato di una conferenza tra Costantino e Licinio nel 313 a Milano, dove ebbe luogo il matrimonio di quest’ultimo con Costanza. Costantino fu costretto a riconoscere il figlio naturale di Licinio come suo erede.

Già nel 311, Galerio, poco prima di morire, aveva emanato un editto assieme ai suoi compagni tetrarchi che poneva fine alla persecuzione dei cristiani. Tutto ciò che le persecuzioni avevano ottenuto era soltanto dividere il mondo romano in nuovi conflitti intestini. L’editto di Galerio chiedeva ai cristiani di pregare il loro Dio per aiutare lo stato romano.

Generalmente si attribuisce invece a Costantino un vero e proprio editto di tolleranza in favore dei Cristiani, pubblicato a Milano nel 313; ma oggi è dimostrato che questo editto non fu affatto promulgato per tutto l’impero, ma solo per l’Oriente, non da Costantino ma da Licinio, non a Milano ma a Nicomedia, e solo per sopprimere le cavillose restrizioni poste alla libertà dei Cristiani da Massimino in quelle provincie. Tuttavia studiosi come Crivellucci e altri, ritengono che un editto di Milano, concordato tra Licinio e Costantino, vi sia effettivamente stato, e che Licinio, vinto Massimino, lo abbia esteso all’Oriente riproducendolo nella sostanza e forse anche nella forma in quello detto di Nicomedia.

Il frutto delle vittorie di Costantino fu l’indiscusso dominio di tutta la parte occidentale dell’Impero, con la sua antica capitale, Roma, che però aveva ormai cessato di essere la residenza ordinaria degli Imperatori. La vittoria conseguita a Ponte Milivio, pose Costantino direttamente contro Massimino II in Oriente. Inoltre, il Senato dichiarò che Costantino era l’Augusto anziano, quindi fu un momento di enorme significato. Allo stesso tempo, si verificarono alcuni importanti eventi i in Oriente. L’imperatore Galerio morì nel 311 d.C. di malattia e Licinio, dopo aver unito i suoi domini ai propri, fu coinvolto in una guerra con Massimino, il quale, dopo aver preso Bisanzio di sorpresa, fu sconfitto in diverse battaglie e morì durante la sua fuga in Egitto, a Tarso in Cilicia, nel 313.

Arco di Costantino, Roma
Arco di Costantino, Roma. L’Arco di Costantino è un arco trionfale di Roma costruito per ordine del Senato romano per commemorare la vittoria dell’imperatore Costantino su Massenzio nella Battaglia di Ponte Milvio nel 312. Situato tra il Colosseo e il Palatino, l’arco fu inaugurato nel 315. Sotto di esso passava una Via Trionfale, percorsa da grandi generali e imperatori romani nei loro trionfi.
Fu l’ultimo e il più grande dei due archi trionfali costruiti a Roma ed è anche l’unico a fare ampio uso delle spolia, riutilizzando varie grandi sculture rimosse da altri monumenti imperiali dell’epoca di due imperatori Traiano ( 98– 117), Adriano ( 117–138) e Marco Aurelio (161–180).
“Il più considerabile e il meglio conservato è quello di Costantino. Offre un miscuglio ben singolare di due tempi ben lontani l’uno dall’altro, del buono e del cattivo gusto. Per costruirsi quest’arco fu spogliato quello di Traiano che era nel suo gran foro; onde questo monumento, come la Cornacchia della favola, non è bello che per le bellezze altrui. Il bello è tutto di Traiano, il brutto è di Costantino.”
(Francesco Milizia, 1725 – 1798, teorico dell’architettura, storico dell’arte e critico d’arte italiano)

Massimino era tornato a perseguitare i cristiani e aveva persino cercato di creare una chiesa pagana rivale organizzata proprio come la chiesa cristiana. In qualità di Augusto anziano, Costantino ordinò a Massimino di cessare le sue ostilità. Invece Massimino partì per cercare di sconfiggere Licinio che, in cambio del riconoscimento di Costantino in Occidente, aveva ottenuto il diritto di governare in Oriente. Licinio sconfisse Massimino in Tracia e a quest’ultimo non rimase che la via della fuga travestito da schiavo. Successivamente Massimino tentò anche di fermare le sue stesse persecuzioni cristiane emettendo un editto di tolleranza. Ma ormai era troppo tardi. Prima che egli potesse anche solo tentare di riconquistare il potere, morì nell’estate del 313. La morte di Massimino lasciò Costantino padrone indiscusso dell’Occidente e Licinio dell’Oriente.

E in Oriente c’é Licinio (“allerta spoiler”: Licinio non durerà molto)

Così Licinio divenne l’unico padrone (Augusto) di tutto l’Oriente, e l’impero aveva ora solo due teste. L’anno successivo, 314, scoppiò una guerra tra Licinio e Costantino. A Cibalis, città alla confluenza del Sau col Danubio, nella parte più meridionale della Pannonia, Costantino sconfisse il rivale pur con una forza militare inferiore di numero; una seconda battaglia, a Mardia in Tracia, fu di esito incerto, ma la perdite subite da Licinio furono immense, ed egli cercò quindi di trattare per la pace.

Questa gli fu prontamente concessa da Costantino, il quale forse non si sentiva ancora abbastanza forte da condurre fino all’estremo la lotta contro il suo rivale; ma soddisfatto dell’acquisizione dell’Illirico, della Pannonia e della Grecia, che Licinio gli aveva ceduto, stabilì con lui una specie di finta amicizia, dando a Licinio anche la mano di sua sorella Costantina. Per legittimare la loro pretesa di governare l’Impero, Costantino affermò di discendere da Claudio II e Licinioa sua volta, dichiarò di essere imparentato con Filippo. Per nove anni questa pace rimase stabile, un periodo che Costantino impiegò nel riformare l’amministrazione dell’Impero mediante quelle leggi di cui parleremo più avanti, e nel difendere le frontiere settentrionali dalle incursioni dei Barbari.

L’Illirico e la Pannonia furono i principali teatri di queste devastazioni, e tra i vari Barbari che abitavano a nord del Danubio e del Mar Nero, i Goti, che avevano occupato la Dacia, erano i più pericolosi. Costantino li respinse parecchie volte nell’Illirico, ed infine attraversò il Danubio, entrò in Dacia, e li obbligò definitivamente a rispettare la dignità dell’Impero Romano. La sua fama di grande Monarca, distintosi sia per le abilità civili che militari, cresceva ogni anno, e la coscienza dei suoi talenti e della sua potenza lo indusse a compiere il passo decisivo per un unire sotto un unico governo tutto l’Impero.

Seconda guerra contro Licinio

Nel 323 Costantino dichiarò guerra a Licinio, ormai avanti negli anni e detestato per le sue crudeltà, ma le cui forze di terra erano pari a quelle di Costantino, mentre la sua flotta era più numerosa ed equipaggiata con marinai più esperti. La prima battaglia ebbe luogo presso Adrianopoli il 3 luglio 323. Ciascuno degli Imperatori aveva al suo comando più di centomila uomini; ma dopo una dura lotta, nella quale Costantino diede nuove prove della sua abilità e del suo  coraggio personale, Licinio fu sconfitto con grande strage delle sue truppe, il suo accampamento fortificato fu preso d’assalto ed egli fuggì a Bisanzio.

Costantino lo seguì, e mentre assediava la città, suo figlio maggiore Crispo bloccò l’ingresso dell’Ellesponto, e in una battaglia di tre giorni sconfisse Amandus, l’ammiraglio di Licinio, che perse un terzo della sua flotta. Incapace di difendere Bisanzio con successo, Licinio riparò in Bitinia, radunò lì le sue truppe e offrì al nemico una seconda battaglia, che fu combattuta a Crisopoli, ora Scutari, di fronte a Bisanzio. Costantino ottenne una vittoria completa e Licinio fuggì di nuovo a Nicomedia.

“Ti perdono solo perché me lo ha chiesto tua moglie” (alla prima occasione, uccidetelo; ma non fatelo sapere a sua moglie!)

Alla fine Licinio dovette arrendersi, a condizione che gli fosse risparmiata la vita, promessa che Costantino fece per intercessione di sua sorella Costantina, moglie di Licinio; ma dopo aver trascorso un breve tempo in una falsa sicurezza a Tessalonica, luogo del suo esilio, egli fu messo a morte per ordine del suo più fortunato rivale. Non possiamo credere che sia stato ucciso per aver tentato di ordire una cospirazione; la causa della sua morte fu senza dubbio il fatto che la sua persona, nella lotta per il potere, era ancora di una certa importanza e di un certo peso. Costantino, come ogni monarca o dittatore assoluto, condannò la memoria del rivale: il suo regno fu considerato un’usurpazione, le sue leggi furono dichiarate nulle e sul suo nome fu coperto d’infamia.

La Guerra dei due Augusti

Nel corso dello stesso anno in cui Costantino uscì vittorioso contro Massenzio, Licinio sconfisse Massimino Daia, che morì a Tarso per mano sua.

Nel 314 scoppiò la cosiddetta guerra tra i due Augusti, a causa, come si dice, del tradimento di Bassiano, marito della sorella di Costantino, Anastasia, per la quale egli aveva rivendicato il rango di Cesare.

Dopo due dure vittorie, Costantino stipulò una pace, aggiungendo ai suoi domini l’Illirico e la Grecia. Costantino e Licinio ebbero il consolato nel 315, anno in cui il primo celebrò i suoi decennalia, e il 1° marzo 317 i due figli di Costantino e quello illegittimo di Licinio furono proclamati cesari.
La pace fu mantenuta per quasi nove anni, durante i quali il saggio governo di Costantino rafforzò la sua posizione, mentre Licinio (che riprese la persecuzione dei cristiani nel 321) perse costantemente terreno a causa della sua indolenza e crudeltà.

Licinio si insospettì quando Costantino nominò suo cognato, Bassiano, suo Cesare a capo dell’Italia e delle province del Danubio. Egli incoraggiò Bassiano a ribellarsi nel 314, ma il complotto fu scoperto e portò a una guerra aperta tra Licinio e Costantino nel 316 sebbene le tensioni tra loro non fossero mai svanite. Licino riteneva che Costantino stesse usando il cristianesimo per indebolirlo, con l’Oriente popolato da cristiani fedeli a Costantino e non a lui. Per rappresaglia, Licinio iniziò a perseguitare la Chiesa in Oriente ed escluse i cristiani dai ruoli più importanti.

Licinio riteneva anche che Costantino stesse deliberatamente piazzando i propri figli in tutti i consolati. Sebbene ai tempi del Dominato, essere console non voleva dire altro che partecipare a delle cerimonie pubbliche, era comunque un ottimo modo per promuovere di carica qualcuno. Licinio intuiva che Costantino stava privilegiando i propri figli per assicurarsi un futuro destino da imperatori, tutto a spese del figlio di Licinio.

Entrambi gli imperatori avevano messo a punto grandi armamenti, sia militari che navali, e nella primavera del 324 Licinio (le cui forze si dice fossero superiori in numero) dichiarò guerra.

Nel 322 Costantino era penetrato con le sue truppe in Oriente, ufficialmente per stroncare un’altra invasione gotica. Licinio interpretò questo gesto come una violazione diretta della sua sovranità in Oriente e dunque scoppiò la guerra.

Licino fu sconfitto due volte, prima ad Adrianopoli (1 luglio) poco dopo le 350 navi della sua flotta furono distrutte da 200 navi comandate dal figlio maggiore di Costantino, Crispo, nella battaglia dell’Ellesponto; e poi in settembre Costantino sconfisse definitivamente Licinio nella battaglia di Crisopoli (18 settembre), mentre cercava di sollevare l’assedio di Bisanzio. Licino fu infine catturato a Nicomedia. La sua vita fu risparmiata per intercessione di Costanza ed egli fu internato a Tessalonica, dove venne giustiziato l’anno successivo con l’accusa di aver intrattenuto una corrispondenza a tradimento con i barbari.

È stato contestato se la lotta finale tra Costantino e Licinio abbia avuto luogo nel 323 o nel 324 d.C.; ma le formule utilizzate nella datazione dei papiri egiziani sembrano indicare quest’ultimo anno (cfr. Comptes-rendus de l’academie des inscriptions, 1906, pag.231 ss.).

Di nuovo un unico imperatore

Costantino era ora l’unico padrone dell’Impero, e le misure che adottò per mantenersi nel suo elevato stato furono altrettanto vigorose, sebbene meno sanguinose, di quelle mediante con le quali riuscì a raggiungere il grande scopo della sua ambizione.

Una nuova capitale: Costantinopoli

Ricostruzione di Costantinopoli
Ricostruzione di Costantinopoli

L‘Occidente e l’Oriente dell’impero erano diventati gradualmente sempre più distinti l’uno dall’altro; e poiché ciascuna di quelle grandi divisioni era già stata governata per un periodo considerevole da diversi monarchi, quella differenziazione era divenuta pericolosa per la stessa integrità del regno, in proporzione a quanto i popoli fossero avvezzi a considerarsi l’uno e l’altro come appartenenti a una di quelle medesime zone distinte, piuttosto che ad unico impero.

Almeno altri due siti – Sardica e Troia – furono presi in considerazione prima che la scelta dell’imperatore cadesse su Bisanzio. È molto probabile che questo passo fosse legato alla decisione di Costantino di fare del cristianesimo la religione ufficiale dell’impero.

Il luogo si presentava molto adatto per la presenza di un grande porto. Perché poteva essere difesa facilmente da un esercito sia via terra che via mare, era molto più vicino alle province orientali più ricche e produttive come l’Egitto e l’Asia ed infine era anche più vicino alle frontiere più importanti e più minacciate (l’Est e la zona fra i fiumi Reno e Danubio).

Roma era ormai solo una capitale nominale, e l’Italia, corrotta dal lusso e dai vizi, aveva cessato di essere la fonte della grandezza romana. Ma Roma era anche naturalmente la roccaforte del paganesimo, a cui la stragrande maggioranza del senato si aggrappava con fervente devozione. Costantino non volle fare aperta violenza a questo sentimento ed anche per questo decise quindi di fondare una nuova capitale per il nuovo impero da lui creato.

Costantino sentì sempre più forte la necessità di creare un nuovo centro dell’impero e, dopo qualche esitazione, scelse quella città che fino ai giorni nostri è considerata una porta sia dell’Oriente che dell’Occidente. Fece dunque di Bisanzio la capitale dell’Impero romano e la residenza degli Imperatori, e la chiamò Nuova Roma, ma col tempo divenne nota con un altro nome: Costantinopoli o città di Costantino.

La solenne inaugurazione di Costantinopoli avvenne nel 330 d.C., secondo Idatius e il Chronicon Alexandrinum. La possibilità che Roma cessasse di essere la capitale dell’impero romano, era già stata osservata da Tacito, che dice (Hist. 1.4), “Evulgato imperii arcano, posse principem alibi quam Romae fieri” (“era stato svelato l’arcano dell’impero: il principe poteva essere eletto anche fuori Roma”). Annunciò che il luogo gli era stato rivelato in sogno; la cerimonia di inaugurazione fu eseguita da ecclesiastici cristiani l’11 maggio 330, quando la città fu dedicata alla Beata Vergine.

La fondazione di una nuova capitale era tesa quindi a rafforzare l’impero. Nuova Roma avrebbe dovuto essere il nome della nuova città, ma prevalse invece il nome di Costantinopoli (la città di Costantino).

Costantinopoli fu ampliata ed abbellita da Costantino stesso e dai suoi successori; ma quando si dice che essa eguagliava Roma in splendore, la causa deve essere in parte attribuita al fatto che la bellezza di Costantinopoli andava sempre più crescendo, mentre quella di Roma andava sempre diminuendo sotto le mani dei suoi Barbari conquistatori. (Comp. Ciampini, De Sacris Aedificiis a Constantino Magno constructis.)

Facendo di Costantinopoli la residenza degli imperatori, il centro dell’impero fu spostato dal mondo latino a quello greco; e sebbene il latino abbia continuato ad essere la lingua ufficiale per diversi secoli, l’influenza della civiltà greca ottenne presto un tale predominio sul latino, che mentre l’impero romano perì a causa barbari in Occidente, esso fu trasformato in un impero greco dagli elleni ad est.

Costantinopoli fu arricchita con tutti gli ornamenti di una grande città, e come spesso avveniva, ciò fu fatto spogliando altri luoghi. L’ippodromo di Costantino a Costantinopoli, ad esempio, era decorato con quattro cavalli di bronzo, fusi più di 700 anni prima in Grecia. Circa 900 anni dopo, nel 1204, quegli stessi cavalli furono prelevati da Costantinopoli durante la Quarta Crociata e furono installati nella Chiesa di San Marco a Venezia dove, dopo essere stati trafugati per un breve periodo da Napoleone, rimasero fino agli anni ’80 del XX secolo, quando furono trasferiti in un museo (oggi vi sono delle repliche al loro posto). Altre decorazioni includevano il tripode in bronzo di Platea del V secolo a.C., realizzato per commemorare la vittoria greca sui Persiani nel 479 a.C. Esso fu portato fino all’Ippodromo direttamente dal Tempio di Apollo a Delfi in Grecia. A differenza dei quattro cavalli, questo treppiede (o meglio ciò che ne resta) si trova ancora nell’Ippodromo ed è noto come “la colonna serpentina”.

C’era, tuttavia, un tale prestigio di grandezza legato a Roma, che fino alla presa di Costantinopoli da parte dei Turchi, nel 1453, i governanti dell’impero d’Oriente conservarono il nome di imperatori romani come titolo con cui ritenevano di aver ereditato il governo del mondo. Lo stesso titolo e la stessa pretesa, furono assunti dai re dei barbari tedeschi, seduti sulle rovine di Roma, e furono l’orgoglio dei loro successori fino alla caduta del Sacro Romano Impero in Germania nel 1806.

Tutte le ultime e residue vestigia delle forme repubblicane sopravvissute nei secoli, vennero di colpo spazzate via; mentre nell’amministrazione degli affari si arrivò finalmente all’ordine dal caos, costruendo un potente apparato di governo, separando l’amministrazione civile da quella militare, ma tenute comunque ambedue saldamente nelle mani del Sovrano. La corte di Bisanzio brillò in splendore e magnificenza come quella dei principi orientali, e si creò una gerarchia di funzionari che rimase quasi fino al XX secolo il modello delle corti monarchiche europee. Un esercito permanente di 300.000 uomini e 29 squadroni navali sostenevano l’autorità imperiale.
Fu necessario imporre una pesante pressione fiscale sul popolo per coprire le enormi spese, ma l’introduzione di un sistema finanziario regolare e una giusta distribuzione delle tasse, le fecero apparire meno onerose di quanto sarebbero state altrimenti.

Nello stesso anno del Concilio, il 325, Costantino celebrò i Vicennalia in Oriente e nel 326 li ripeté a Roma.

 

La repressione del paganesimo

La madre di Costantino I, Elena, che si dice che fosse originaria della Britannia. Non sappiamo se sia stata la moglie legittima di Costanzo, o una concubina. In seguito fu dichiarata santa perché, fervente cristiana, si recò in Giudea nel 326 per visitare luoghi legati al cristianesimo.

Credeva anche di aver ritrovato i luoghi della vita di Cristo, incluso il luogo in cui era nato e quello in cui fu crocifisso. Degli scavi portarono alla luce quelli che si pensò fossero le tre croci e la cosa contribuì a creare un traffico di reliquie, come ad esempio, quello dei frammenti della “vera croce”. Alcuni santuari erano pieni di fedeli di varie confessioni, ed erano visitati sia da pagani che da cristiani. La suocera di Costantino, Eutropia, rimase indignata alla vista uno di questi santuari a Hebron e fece distruggere tutti i monumenti pagani e costruire una chiesa. Il cristianesimo primitivo continuò ad appropriarsi di monumenti e tradizioni pagane e rinominandoli come cristiani.

 

Cominciano i problemi familiari: il figlio Crispo accusato di tradimento

Testa di Bronzo da una statua colossale di Costantino, Roma, Musei Capitolini
Testa di Bronzo da una statua colossale di Costantino, Roma, Musei Capitolini

L’anno 324 fu segnato da evento che causò la più grande costernazione in tutto l’Impero, e che secondo l’opinione di molti scrittori ha gettato un’ombra incancellabile sulla figura di Costantino. Suo figlio prediletto, Crispo, le cui virtù e la cui gloria sarebbero dovute essere forse più una fonte di gioia per il padre, lo avevano al tempo stesso reso così popolare presso la nazione, che nella mente di Crispo stesso si fece strada l’ambizione: egli fu dunque accusato di alto tradimento e, durante la celebrazione a Roma del ventesimo anniversario della vittoria di Costantino su Massenzio, il giovane fu arrestato e inviato a Pola in Istria.

Qui fu messo a morte. Licinio Cesare, figlio dell’imperatore Licinio e Costantina, sorella di Costantino, fu accusato dello stesso delitto, e subì la stessa sorte. Anche molte altre persone accusate di essere collegate alla cospirazione furono punite con la pena capitale.

Si dice che Crispo fosse stato calunniato dalla matrigna Fausta e che Costantino, pentendosi poi della morte del figlio innocente, e avendo scoperto che Fausta aveva intrecciato rapporti ambigui con uno schiavo, ordinò di soffocarla in un bagno caldo. Lo storico Niebuhr, (Storia di Roma, ed. del Dr. L. Schmitz, vol. vp 360), così commenta questi fatti:

“Tutti conoscono la miserabile morte del figlio di Costantino, Crispo, che fu mandato in esilio a Pola, e poi messo a morte. Se però in generale si fa una tragedia di questo avvenimento, devo confessare tuttavia che non vedo come si possa provare che Crispo fosse innocente.

Quando leggo di tante insurrezioni di figli contro i loro padri, non vedo perché Crispo, che era Cesare, e che chiese il titolo di Augusto, che suo padre gli aveva rifiutato, non avrebbe dovuto pensare: ‘Ebbene, se non faccio nulla per me stesso, non lo farà certo mio padre; perché sicuramente preferirà i figli di Fausta a me, che ho per madre una donna ripudiata!’  Un tale pensiero, se è mai venuto in mente a Crispo, deve averlo punto nel vivo: che un padre ordini di mettere a morte il proprio figlio è certamente ripugnante per la nostra mentalità; ma è avventato e sconsiderato affermare che Crispo fosse del tutto innocente.

È per me molto probabile che Costantino stesso fosse del tutto convinto della colpa del figlio: lo deduco dalla sua condotta verso i tre fratellastri di Crispo, che trattò sempre con il massimo rispetto, e fu sempre molto legato agli altri suoi figli, in un clima di concordia davvero esemplare. Si racconta che Fausta fu soffocata, per ordine di Costantino, dal vapore di un bagno; ma Gibbon stesso ha sollevato alcuni gravi dubbi su questo atto incredibile e inspiegabile, e quindi non posso attribuire alcuna importanza alla vicenda. “

Un imperatore divorato dall’ambizione?

Invano scrittori zelanti hanno cercato di sollevare la reputazione di Costantino dai delitti commessi per soddisfare la sua ambizione. A conti fatti questi superano il bilancio anche del famigerato Nerone: suo suocero, suo cognato Licinio, suo figlio Crispo, suo nipote, figlio di Licinio (un ragazzo di appena 11 anni) e infine sua moglie Fausta, furono, una dopo l’altra,  le sue vittime. Un curriculum non certo lusinghiero!

 

L’impero diviene cristiano…ora tocca fare ordine tra tutte queste eresie…che ne dite di un bel concilio?

Durante l’ultima parte del suo regno, Costantino godette del suo potere in pace. Ma altre dispute minacciavano l’impero: quelle religiose della nuova fede. Già nel 315 Ario negava ad Alessandria la divinità di Cristo. La sua dottrina, che in seguito diede origine a tanti guai e a tante guerre, fu condannata dal consiglio generale riunito a Nicea nel 325, uno degli eventi più importanti della storia ecclesiastica.

L’eresia ariana e dintorni: mettiamo i puntini sulle “i”

Prescindendo dalle sètte giudaiche del primo secolo (Esseni, Nazareni), le quali sorsero e si restrinsero nel sud-est della Palestina, intese a comporre le credenze natie con la fede di Gesù Cristo e dalle varie dottrine degli Gnostici, pensatori profondi, perfino creatori di sistemi (Simon Mago, Saturnino, Bassilide, Valentino, ecc.), che insorgevano contro il Cristianesimo, pur accettandone alcune idee in ordine al dogma della redenzione, la Chiesa, fin dai suoi primordi, è funestata dall’apparire di numerose eresie, che ne minacciano la sua unità (Novaziani, Marcioniti, Manichei, Montanisti, Donatisti). La più importante di tutte è senza dubbio l’eresia di Ario

L’essenza dello scisma ariano è tutto concentrato sull’uso di una lettera: le ‘i’. La Chiesa ortodossa (l’unica chiesa che c’era all’epoca, poiché anche se il termine “cattolico” già esisteva, il primo grande scisma fra le due professioni – cattolica e ortodossa – avverrà solo in seguito, dando origine anche alla distinzione netta fra fede cattolica e ortodossa, e riguarderà più che altro il primato o meno del Vescovo di Roma piuttosto che quello della chiesa bizantina o orientale, oltre a questioni di culto e intorno alle immagini sacre) definì la propria fede nella preghiera chiamata Credo con la parola greca homoousios, che serviva a definire Dio Padre e Dio Figlio come coeterni e dunque uguali (“della stessa sostanza”), ovvero erano una cosa sola. Gli ariani invece, aggiunsero una “i” e ottennero homoiousios da homoios (“simile”), il che significava che Dio Padre e Dio Figlio erano simili, ma non identici. Il Credo, è un’affermazione di ciò che i cristiani credono riguardo a Dio Padre, Dio come Figlio e Dio come Spirito Santo. Quindi lo scisma ariano oppose due versioni contrastanti: il Credo niceno (ortodosso) e il Credo ariano.

Riassumendo le grandi contese che nel II e III secolo avevano agitato il mondo cristiano, Ario dunque defini la persona del Figlio in una maniera più accessibile alle menti, affermando che la sua natura non era consustanziale a quella del Padre, ma di una sostanza analoga, che partecipava della divinità solo perché aveva servito al Padre da strumento nella creazione degli esseri e che non esisteva ab aeterno. La nuova dottrina rapidamente si diffuse e divise la Chiesa in due campi. Ma contro Ario sorse Atanasio, e allora Costantino, persuaso che lo stato non potesse essere indifferente a queste discordie, convocò il celebre concilio universale a Nicea (325). Oltre 300 vescovi vi accorsero e l’imperatore presiedette l’assemblea. Il concilio compose l’unità dottrinale della Chiesa, risolvendo la questione colla proclamazione della consustanzialità del Padre col Figlio e con la redazione del Credo o simbolo Niceno (perfezionato nel 381); poi regolò la disciplina del clero e fissò per il giorno della Pasqua la domenica che segue il plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Ma lo scisma non fu spento del tutto. Gli Ariani infatti nel 331 ebbero il sopravvento, perché più sensibili all’autorità imperiale e Costantino morì battezzato da un ariano ; sennonché, sopravvenuta con Giuliano l’apostata la reazione del paganesimo, sórta l’eresia di Apollinare, che negava a Cristo la natura umana, ed entrati in discordia tra loro anche gli Ariani, gli imperatori ritornarono all’ortodossia venendo un’altra volta in soccorso della Chiesa, favorendo il generale bisogno d’unità, e mettendo l’autorità del vescovo di Roma al disopra di tutti gli altri vescovi, onde contribuirono in tal modo alla creazione del papato. Gli Ariani, perseguitati, trovarono ospitalità presso i Barbari che, convertendosi al Cristianesimo, abbracciarono sotto questa forma le nuove dottrine.

Si aggiunga che per molti romani, il cristianesimo non era che l’ennesima religione da aggiungere alle numerose altre già presenti. I cristiani più devoti e ortodossi invece, rifiutavano tutte le altre religioni. Ma molti altri adoravano Cristo insieme agli dei pagani. Persino Costantino continuò a emettere monete con l’effige de Sol Invictus, il Dio Sole invitto e quelle del Genio del popolo romano, nonché altri simboli e personificazioni allegoriche pagane tradizionali romane.

Non esisteva a quel tempo un unico cristianesimo, con una dottrina chiara, definita e uniforme. I cristiani stessi dunque, erano divisi tra di loro da dispute religiose e da continui scismi:

Gli Ortodossi: credevano che Cristo fosse Dio a pieno titolo accanto a Dio Padre; separati ma allo stesso tempo anche una cosa sola (era ancora un’idea semipagana di Tre Déi in Uno, mentre il concetto teologico della Trinità era ancora in fase di elaborazione). Questo era l’insegnamento promosso dalla nuova dirigenza della chiesa cristiana, quindi ortodosso significava appunto “corretta dottrina”.

Gli Ariani: Un sacerdote nordafricano chiamato Ario all’inizio del 300, insegnava invece che Cristo non era Dio a pieno titolo, ma solo come una creazione di Dio Padre, come strumento per creare il mondo. Ben presto Ario attirò un buon seguito, inclusi alcuni vescovi, cosa che preoccupò molto gli ortodossi. Costantino convocò un consiglio a Nicea nel 325 per risolvere la questione. Gli ariani furono banditi, ma in poco tempo Costantino iniziò a prendere in considerazione l’influenza politico-religiosa che egli ariani si erano guadagnata, e iniziò a reintegrarli. La disputa tuttavia continuò per altri decenni dopo la morte di Costantino nel 337, mentre vari concili cercavano di stilare una dottrina unica, che soddisfacesse tutti e tenesse unita la Chiesa.

I donatisti: Alcuni membri della chiesa africana si opposero nel 311 alla consacrazione di un vescovo di Cartagine chiamato Ceciliano da parte di Felice da Aptunga, che aveva rinnegato le sacre scritture durante la persecuzione di Diocleziano. Per quanto li riguardava, chiunque avesse mostrato debolezza durante la persecuzione non avrebbe dovuto amministrare il culto di Cristo. Così nominarono un proprio vescovo, a cui successe un uomo chiamato Donato, che diede il nome allo scisma. Donato aveva una grande reputazione, avendo sopportato una serie di di torture durante la persecuzione senza mai abiurare la propria fede. Una commissione istituita nel 313, un sinodo tenuto ad Arles nel 314 e poi Costantino stesso nel 316, emisero degli editti di condanna nei confronti dei donatisti, i cui sostenitori si ribellarono a tutte queste decisioni. Costantino cercò di sopprimerli ma poi vi riunciò nel 321. I donatisti rimasero in circolazione per altri 400-500 anni prima di svanire del tutto.

Costantino protesse i padri ortodossi, quantunque egli debba essere considerato ancora un Pagano, ma non perseguitò mai gli Ariani; ed i dissensi di una Chiesa, alla quale egli peraltro non apparteneva, non occupavano molto la sua attenzione, poiché la pace interna dell’Impero non era ancora minacciata da essi.

Nonostante la tranquillità del regno, risultato evidente del fatto che vi fosse un uomo del suo genio come unico sovrano, Costantino sentì che nessuno dei  suoi figli fosse pari a lui. Divise quindi fra loro il suo impero, sperando di rimuovere le cause di conflitti civili come quelli a cui egli doveva la sua stessa ascesa al potere.

Il saggio statista: la politica verso il cristianesimo

Come statista e politico, Costantino favorì e protesse il cristianesimo, sebbene egli stesso si farà battezzare solo sul letto di morte. Egli aveva ormai chiaro in mente che la vasta struttura di un impero centralizzato, comprendente quasi l’intero mondo civilizzato, non poteva più essere costruita sui resti decadenti del paganesimo.
Serviva unn nuovo e vigoroso principio religioso, il quale, inculcando l’obbedienza alle autorità esistenti, sembrava perfettamente adattato ai bisogni dell’assolutismo monarchico; esso avrebbe dovuto dare nuova linfa vitale all’Impero Romano. Questa potrebbe essere stata la grande idea di Costantino. Già nel 312 egli aveva concesso la tolleranza assoluta ai cristiani, restituendo loro i beni confiscati dai suoi predecessori, ed ogni tentativo di minare la libertà religiosa dei cristiani venne, da questo imperatore, severamente punita. Convocando (e partecipandovi egli stesso) il concilio generale di Nicea (325), Costantino proclamò apertamente che il cristianesimo era ormai la religione ufficiale dell’impero.

 

Ordinamento della Chiesa

Dall’ordinazione primitiva, che trasmetteva dagli apostoli nei discepoli la facoltà d’istruire e di educare mediante l’imposizione delle mani, senza distinzione alcuna tra gli individui, si passò alla elezione delle persone più adatte al ministero ecclesiastico, separandole dalla turba dei fedeli. Questa separazione dette al clero un certo spirito di corpo e di ambizione, che si tradusse ben presto in atto proclamandosi erede del sacerdozio ebraico, bramandone i privilegi e mutando in aristocratica la costituzione democratica della Chiesa primitiva. Fu allora che si stabilì una specie di gerarchia per la quale dagli ordini minori (accolito, esorcista, ostiario, lettore) si passava ai maggiori (suddiacono, diacono, prete) e di qui a concentrare tutto il potere nel vescovo, sottraendone l’elezione dalle mani del popolo. E come il clero cosi si divisero le chiese, e diocesane si chiamarono quelle da cui dipendevano le chiese dei villaggi limitrofi, metropolitane quelle che si istituirono nel capoluogo della provincia. I vescovi erano a capo di queste e di quelle, ma evidentemente i metropolitani avevano una maggiore importanza sia per maggior larghezza d’azione come per la presidenza a loro concessa delle sinodi provinciali e la conferma dei vescovi. La necessità di un regime più generale fece avanzare ancora d’un passo la gerarchia ecclesiastica. Alcune città vantavano tradizioni più elevate in confronto dei capoluogo di provincia, come Gerusalemme, Costantinopoli, Antiochia, Alessandria; onde non ci meraviglia se i vescovi di queste città ambirono ad un potere più largo. In tal modo sorsero i patriarcati, che troviamo altresì in Efeso, ad Eraclea in Tracia e ad Aquileia. Ma la Chiesa romana presso la quale s’andava svolgendo lentamente il papato, non permise la formazione di nessun grande patriarcato, avendovi sostituito i vescovi primari (8 nella Gallia, 3 nella Spagna, 3 in Britannia).

L’impero di nuovo fatto a fettine (ma solo per governarlo meglio)

Costantino affidò dunque a Costantino II, il maggiore dei suoi figli, l’amministrazione della Gallia, della Britannia, della Spagna e della Tingitania; a Costanzo, il secondo, l’Egitto e le province asiatiche, eccetto i paesi dati ad Annibaliano; a Costante, il più giovane, l’Italia, l’Illirico occidentale, e il resto dell’Africa: tutti ricevettero il titolo di Augusto.

Quest’ultimo ricevette il regno vassallo del Ponto con il titolo di rex regum, mentre gli altri governarono come Cesari nelle loro rispettive province. Costantino, tuttavia, mantenne il governo supremo e nel 335 celebrò i suoi tricennalia. Infine, nel 337, Shapur (Sapor) II di Persia rivendicò le province conquistate da Diocleziano e scoppiò la guerra.

Inoltre Costantino conferì invece il titolo di Cesare a suo nipote Dalmazio, che ottenne l’amministrazione dell’Illirico orientale, della Macedonia, della Tracia e della Grecia; suo nipote Annibaliano, che ricevette il nuovo titolo di Nobilissimus, fu posto a capo di Ponto, Cappadocia e Armenia Minore, con Cesarea come capitale.

Tutti questi eredi, dovevano governare l’impero, dopo la sua morte, come una proprietà comune. Tra i tre Augusti, Costantino il maggiore doveva essere quello di primo di grado, ma tutti erano eguali nella loro autorità: il Cesare e il Nobilissimus, sebbene sovrani nei loro domini, erano tuttavia di grado inferiore, e, per quanto riguarda l’amministrazione di tutto l’impero, l’autorità apparteneva anche agli Augusti. Il fallimento di questo piano di Costantino è nella storia della vita dei suoi figli.

Morte di Costantino

Nel 337 Costantino stava per scendere in campo contro Sapore II, re di Persia, che rivendicava, come abbiamo detto, le province sottrattegli da Galerio e Massimiano. Ma la sua salute era pessima; ritiratosi per via del clima salubre e delle acque benefiche alle terme di Helenopolis, morì ad Ancyrona, un sobborgo di Nicomedia, il 22 maggio del 337, dopo una breve malattia. Poco prima di morire, dichiarò la sua intenzione di farsi cristiano, e perciò fu battezzato dal vescovo di Nicomedia. Morì il giorno di Pentecoste e fu sepolto nella Chiesa degli Apostoli a Costantinopoli

Alla sua morte, seguì il massacro di quasi tutti i suoi consanguinei, perpetrato dai propri figli, e poi la morte violenta di due di essi, mentre il secondo, Costanzo, riuscì a divenire unico Imperatore.

Visione della Croce, affresco della scuola di Raffaello Sanzio. Stanze Vaticane, Roma
Visione della Croce, affresco della scuola di Raffaello Sanzio. Stanze Vaticane, Roma

Leggi e riforme di Costantino

Le leggi e i regolamenti più importanti  promulgati da Costantino furono i seguenti: Sviluppò e perfezionò il sistema gerarchico delle dignità statali stabilito da Diocleziano sul modello delle corti orientali, e di cui i dettagli sono contenuti nella Notitia dignitatum.

Gli ufficiali principali erano divisi in tre classi: gli Illustres, gli Spectabiles, e i Clarissimi; per gli Ufficiali di grado inferiore furono inventati altri titoli, i cui suoni pomposi contrastavano stranamente con la meschinità delle funzioni di chi li portava.

Il consolato era un mero titolo, e così pure la dignità di patrizio; entrambi questi titoli negli anni successivi furono spesso conferiti anche ai barbari. Il numero degli ufficiali pubblici era immenso, e tutti derivavano la loro autorità dal capo supremo dell’impero, il quale poteva così contare su una schiera di uomini elevati dalla loro educazione al di sopra delle classi inferiori, e che, generalmente non avendo nient’altro che le loro nomine, erano obbligati a fare tutto quanto in loro potere per prevenire le rivoluzioni, con le quali sarebbero stati privati ​​del loro sostentamento.

Un simile sistema artificioso, teso a rafforzare il governo, fu stabilito nei secoli XIX e parte del XX anche in Prussia, Austria, Francia e nella maggior parte degli stati d’Europa. Fu abolita la dignità e il pericoloso potere militare dei praefecti praetorio. Sotto Diocleziano e Massimiano vi erano infatti quattro praefecti, ma non erano che luogotenenti dei due Augusti e dei loro due Cesari. Costantino ne confermò il numero ma limitò il loro potere, rendendoli ufficiali civili: sotto l’imperatore c’era il Praefectus Orienti che reggeva le Province asiatiche e la Tracia; il Praefectus Italiae, sull’Italia, la Rezia, il Norico e l’Africa tra l’Egitto e parte della Mauritania; il Praefectus Illyrico, che aveva l’Illirico, la Pannonia, la Macedonia e la Grecia; e il Praefectus Galliae, sopra la Gallia, la Britannia, la Spagna e la Mauritania Tingitania (da Tingis, odierna Tangeri) o la parte più occidentale dell’Africa (Marocco).

Roma e Costantinopoli avevano ciascuna il proprio prefetto separato. Sotto i Praefecti c’erano tredici alti Funzionari, che erano governatori civili delle tredici Diocesi in cui era diviso l’Impero, e che avevano o titolo di Comes (che sarà all’origine del successivo titolo nobiliare di Conte, derivato dal provenzale e dal francese antico “Comte”, che appunto a sua volta deriva dal latino comes -ĭtis letteralmente ‘compagno di viaggio’  e che è attestato a partire dal XIII secolo, per indicare i governatori civili di un territorio), o di Vicario o Vice Prefetto. Tra questi ufficiali e i prefetti c’erano tre proconsoli dell’Asia, dell’Acaia e dell’Africa, i quali però non erano che governatori di province, il cui numero intero era di centosedici, e che erano governati, oltre che dai proconsuls, da trentasette consulares, cinque correctores e settantuno presidentes.

L’amministrazione militare era del tutto separata da quella civile, e siccome i Praefecti Praetorio furono mutati in ufficiali civili, come si è detto sopra, il comando supremo militare fu conferito prima a due, poi a quattro ed infine a otto Magistri Militum, sotto i quali furono i Comites e Duces militari.

L’esercito

Diminuì il numero delle legioni, ma nondimeno l’esercito fu accresciuto di molto, specialmente da parte degli ausiliari Barbari, una pratica questa assai pericolosa, che affrettò il rovesciamento dell’Occidente e scosse l’Impero d’Oriente sin nelle sue fondamenta. L’aumento dell’esercito rese necessarie varie tasse oppressive, che furono valutate iniquamente, e che provocarono molte rivolte.

C’erano sette alti funzionari, che possono essere paragonati ad alcuni dei grandi ufficiali di stato della storia successiva, vale a dire. il Praepositus Sacri Cubiculi, simile al Lord Ciambellano della Corona d’Inghilterra; il Magister Officiorum, che agiva in molte faccende come segretario per gli affari interni; il Questore, incarico simile al Lord Cancelliere e Guardiano del Sigillo del Regno Unito o al Cancelliere di Francia di epoca carolingia e che nelle moderne democrazie può essere in parte equiparato al Ministro della Giustizia; il Comes Sacrarum Largitionum, simile al Cancelliere dello Scacchiere delle entrate pubbliche inglese o al Ministro delle Finanze; la Comes Rerum Privatarun Divinae Domus per la proprietà privata dell’imperatore; e, infine, due Comites Domesticorum, o semplicemente Domestici, i comandanti della guardia personale imperiale. Per ulteriori dettagli si rimanda alle fonti elencate in fondo a questo articolo e a Gutherius, “De Officiis Domus Augustae” 1628.

La Costituzione dell’Impero

Con la traslazione della capitale si collega il nuovo ordinamento dell’impero. Costantino, mantenendo in parte il concetto di Diocleziano, divise lo stato in 4 grandi prefetture, a capo delle quali pose un prefetto del pretorio con autorità civile e giudiziaria.

Le 4 grandi prefetture erano cosi ripartite:

I. Prefettura dell”Oriente (cap. Costantinopoli) con 5 diocesi (Oriente, Egitto, Asia,Ponto e Tracia)

II. Prefettura dell’Illiria (cap. Sirmio, poi Tessalonica ) con 3 diocesi (Pannonia e Dacia, Macedonia e Grecia e proconsolato d’Asia)

III. Prefettura della Gallia (cap. Treviri, poi Arles) con 3 diocesi (Gallia, Spagna, Britannia)

IV. Prefettura d’Italia (cap. Milano) con 2 diocesi (Italia e Africa).

Roma e Costantinopoli ebbero una condizione privilegiata, governate da un prefetto con giurisdizione che s’estendeva per 100 miglia di circonferenza. Le diocesi erano rette da vicari, le provincie da proconsoli, correttori, presidi a seconda della loro importanza.

Militarmente ogni prefettura ebbe un comando generale d’esercito, un maestro della cavalleria e della fanteria, da cui dipendevano altri 35 generali o duces. Le legioni furono portate a 175,

 

L’ultimo dei grandi

Costantino merita il nome di Grande: salì al più alto grado del potere e non dovette la sua fortuna a nessuno tranne che a se stesso. La sua stessa condizione, l’essere figlio di Costanzo, lo espose a molti pericoli; le sue qualità eccelse provocarono gelosia tra i suoi nemici e durante la maggior parte del suo regno la sua vita fu una continua lotta per mantenere il trono.

Superò tutti gli ostacoli grazie ai propri sforzi; con la sua abilità sconfisse i suoi nemici; con la sua energia ridusse l’idra dell’anarchia senza alcuna testa; la sua prudenza lo mantenne stabile sul trono di Roma, nonostante le congiure, le ribellioni, le battaglie e gli assassinii; la sua saggezza creò una nuova organizzazione per un impero che era ormai diviso in enormi frammenti e che nessuna mano umana sembrava abbastanza potente da poter elevare di nuovo ad un solido edificio.

Il cristianesimo fu da lui reso la religione di stato, ma il paganesimo non fu perseguitato anche se venne scoraggiato. Il cristianesimo dell’imperatore stesso è stato oggetto di accese controversie sia nell’antichità che nei tempi moderni, ma il resoconto che Niebuhr dà della fede di Costantino sembra essere perfettamente corretto. Parlando dell’assassinio di Licinio e di suo figlio Crispo, Niebuhr osserva (Hist. of Rome, vol. vp 359),

“Molti lo giudicano con uno standard troppo severo, perché lo considerano un cristiano; ma non io posso vederlo in quella luce.

La religione che aveva nella sua testa doveva essere un guazzabuglio davvero strano. L’uomo che aveva sulle proprie monete l’iscrizione Sol invictus, che adorava divinità pagane, che consultava gli aruspici, che si abbandonava a una nutrita serie di superstizioni, e che, d’altra parte, costruiva chiese, chiudeva templi pagani e interferiva nel concilio di Nicea, doveva essere un personaggio davvero contraddittorio, almeno in ambito religioso.  Di certo non un era un cristiano e non si lasciò battezzare che negli ultimi istanti del sua vita; coloro che lo lodano per questo gesto, non sanno quello che dicono.

Era un uomo superstizioso e confondeva la sua “religione cristiana” con ogni sorta di assurde credenze e pregiudizi. Quando, dunque, alcuni scrittori orientali lo chiamano ἰσαπόστολος, Isapostolo, cioè “uguale agli Apostoli”non so a cosa si riferiscano, ma parlare di lui come di un santo è una profanazione a questo stesso termine».

Le colpe di Costantino per la morte di Massimiano e Crispo, ricadranno su molti altri re, e abbiamo solo dei resoconti fantasiosi sul rimorso e le sofferenze della sua anima per le sue sanguinose azioni da lui compiute in vita. Costantino non fu così grande come un tempo durante l’ultima parte del suo regno. Man mano che avanzava negli anni, egli perse quella generosità serena che lo aveva contraddistinto fin da giovane; il suo temperamento divenne aspro e lasciò il posto a esplosioni umorali piene di risentimento che avrebbe forse represso mentre era nel fiore della sua età.

Sentiva che la grandezza di Roma poteva essere mantenuta solo in Oriente e fondò Costantinopoli; ma lo spirito dell’antico Oriente ellenistico forse lo sopraffece, ed egli sacrificò l’eroica maestà d’un Romano Imperatore (che tuttavia anch’essa ormai non esisteva più) allo sfarzo, ai fasti e alle vane cerimonie d’una Corte tardo-ellenistica decadente. La sua vita è l’esempio di una grande lezione storica: l’Occidente poteva conquistare sì l’Oriente ellenistico o tardo-ellenistico (sebbene ormai posto sotto l’egida di una nuova religione), ma il vincitore sarebbe deceduto sui suoi stessi trofei, intrisi dal veleno sia della propria, come dell’altrui decadenza.

Poiché Costantino il Grande fu un riformatore politico di successo e il fondatore di una nuova religione, ricevette tanti immeritati giudizi di rimprovero quanto di lode; Gli scrittori cristiani lo hanno generalmente divinizzato, mentre gli storici pagani hanno gettato la sua memoria nell’infamia.

Costantino: l’Impero, il Cristianesimo, la Chiesa, il Dominato

È stato detto da Stanley che Costantino ebbe pieno diritto di essere chiamato “Grande”, ma in virtù di quel che fece piuttosto che di ciò che realmente era. Vero è che né le sue qualità intellettuali, né quelle morali furono tali da fargli meritare questo titolo.

La sua pretesa di grandezza si basa principalmente sul fatto che egli intuì il futuro che si prospettava per il cristianesimo e decise di metterlo al servizio del suo impero, e anche sul fatto che riuscì a completare l’opera iniziata da Aureliano e Diocleziano, con la quale la monarchia quasi istituzionale o “Principato” di Augusto, fu trasformata nel nudo assolutismo, talvolta chiamato “Dominato”.

Non c’è motivo di dubitare della sincerità della conversione di Costantino al cristianesimo, anche se non possiamo assegnargli la fervente pietà che Eusebio gli attribuisce, né accettare come autentici i discorsi che passano sotto il suo nome. I precetti morali della nuova religione non mancarono di influenzare la sua vita ed egli fece in modo che i suoi figli ricevessero un’educazione cristiana. Motivi di opportunità politica, tuttavia, lo indussero a ritardare il pieno riconoscimento del cristianesimo come religione dello Stato fino a quando non fosse diventato l’unico sovrano dell’impero, anche se non si limitò ad assicurarne la tolleranza subito dopo la vittoria su Massenzio, ma intervenne nella controversia donatista già nel 313 e presiedette il concilio di Arles nell’anno successivo.

Con una serie di decreti furono conferite immunità e privilegi di vario genere, come l’esenzione dalle tasse, alla Chiesa cattolica e al clero – con l’esclusione specifica degli eretici – e l’atteggiamento dell’imperatore nei confronti del paganesimo si rivelò gradualmente di sprezzante tolleranza. Da religione consolidata dello Stato, esso sprofondò in una mera superstitio.

Allo stesso tempo, i riti pagani venivano lasciati sussistere tranne quando fossero ritenuti sovversivi della morale, e persino negli ultimi anni del regno di Costantino troviamo una legislazione a favore dei flamini e dei collegia municipali. Nel 333, o più tardi, fu istituito a Hispellum (Spello) un culto della Gens Flavia, come veniva chiamata la famiglia imperiale; l’offerta di sacrifici nel nuovo tempio era però severamente vietata.

Tuttavia la vecchia aristocrazia romana, ancora legata al paganesimo, fu man mano estromessa dagli antichi privilegi.

Solo dopo il trionfo finale di Costantino su Licinio, i simboli pagani scomparvero dalla monetazione e il monogramma cristiano (che era già stato usato come marchio di zecca) divenne uno strumento importante. Da questo momento in poi la controversia ariana richiese la costante attenzione dell’imperatore che, presiedendo il concilio di Nicea e pronunciando in seguito la sentenza di esilio contro Atanasio, non solo si identificò più apertamente che mai con il cristianesimo, ma mostrò la volontà di affermare la sua stessa supremazia negli affari ecclesiastici, ritenendo senza dubbio che, poiché la carica di pontifex maximus gli conferiva il controllo supremo delle questioni religiose in tutto l’impero, la regolamentazione del cristianesimo rientrasse nella sua provincia. In questa materia il suo discernimento lo deluse.

Era stato relativamente facile applicare la coercizione ai donatisti, la cui resistenza al potere temporale non era interamente dovuta a considerazioni spirituali, ma era in gran parte il risultato di motivi meno puri; ma la controversia ariana sollevò questioni fondamentali, che alla mente di Costantino apparivano suscettibili di compromesso, ma che in realtà, come Atanasio aveva giustamente intuito, rivelavano differenze vitali di dottrina.

Il risultato prefigurava il processo attraverso il quale la Chiesa che Costantino sperava di plasmare in uno strumento dell’assolutismo divenne il suo più deciso oppositore. Non è necessario menzionare più di tanto la leggenda secondo cui Costantino, colpito dalla lebbra dopo l’esecuzione di Crispo e Fausta, ricevette l’assoluzione e il battesimo da Silvestro I e con la sua (presunta) donazione al vescovo di Roma gettò le basi del potere temporale del papato (vedi Donazione di Costantino).

Una nuova architettura per una nuova fede

Il cristianesimo, come nuova religione dell’Impero, richiedeva nuovi edifici di culto, come i santuari. La Chiesa dei Santi Apostoli, fatta erigere da Costantino nella sua nuova capitale Costantinopoli, venne costruita a forma di croce. L’antico progetto della basilica del mondo pagano, un’aula a tre navate, fu adattato al progetto di una chiesa cristiana e costituì la base di tutte le successive grandi cattedrali medievali. Nuovi edifici sacri sorsero anche a Roma, come la prima Basilica di San Pietro, sulla quale oggi si erge l’attuale Basilica di San Pietro, nel luogo in cui la tradizione indica che avvenne il martirio dell’Apostolo.

Tuttavia continuò anche la tradizione di far scolpire statue dell’imperatore, che divennero di dimensioni davvero colossali. Di esse ci rimangono alcuni frammenti a Roma (uno di una statua in bronzo, e uno di marmo), così come una a York, nel nord della Gran Bretagna, dove Costantino era stato acclamato imperatore. A differenza delle antiche statue classiche, più realistiche, le nuove immagini imperiali mostrano un volto astratto e impassibile, con gli occhi rivolti sempre al cielo.

Il sistema politico di Costantino fu il risultato finale di un processo che, sebbene fosse durato quanto l’impero, aveva assunto una forma marcata sotto Aureliano. Fu Aureliano infatti a circondare la persona imperiale di sfarzo orientale, indossando il diadema e la veste ingioiellata, assumendo lo stile di dominus e persino di deus, ad assimilare l’Italia alla condizione delle province e a dare impulso ufficiale al processo economico con cui un regime di status sostituiva un regime di contratto. Diocleziano cercò di proteggere il nuovo dispotismo dalle usurpazioni militari con un elaborato sistema di coreggenza con due linee di successione, che portavano i nomi di Jovii ed Herculii, ma che si mantenevano per adozione e non per successione ereditaria.

Questo sistema artificioso fu distrutto da Costantino, che instaurò l’assolutismo dinastico a favore della propria famiglia, la Gens Flavia, il cui culto è testimoniato sia in Italia che in Africa. Per formare una corte creò una nuova aristocrazia ufficiale che sostituisse l’ordine senatoriale, che gli imperatori militari del III secolo d.C. avevano ridotto all’insignificanza pratica.
Su questa aristocrazia egli fece ricadere titoli e distinzioni, come il patriziato riveduto, che comportavano l’ambita immunità dagli oneri fiscali. Questi titoli erano così liberamente conferiti che nel 326 d.C. Costantino trovò necessario, nell’interesse dell’erario, stabilire che l’immunità fiscale che essi comportavano non fosse più ereditaria. Poiché il senato era ormai una entità trascurabile, Costantino poté permettersi di riammettere liberamente i suoi membri alla carriera dell’amministrazione provinciale, che era stata loro quasi preclusa dal regno di Gallieno, e di accordargli alcuni vuoti privilegi come la libera elezione di questori e pretori, mentre d’altra parte fu tolto al senatore il diritto di essere giudicato dai suoi pari e fu posto sotto la giurisdizione del governatore provinciale.

La corte imperiale

Costantino si definì “Uguale degli Apostoli” e si presentò come rappresentante del Dio cristiano sulla Terra. Quindi l’imperatore portava il titolo di eterno o divino, la cui volontà era legge.

Mantenendo la struttura del Dominato di Diocleziano, Costantino organizzò il potere in senso totalitario. Il Senato era ormai un organo totalmente irrilevante e l’antica distinzione tra senatori ed equestri venne abolita. Anche Costantino, come Diocleziano, teneva un Consiglio supremo, il sacrum consistorium (“sacro corpo di coloro che stanno insieme“), che teneva riunito in sua presenza. Si trattava di un misto di sfarzo e cerimonie esteriori, di altisonanti titoli onorifici elargiti per puro prestigio, il tutto etichettato come sacrum (“sacro”). Questo organo coadiuvava l’imperatore nell’esercizio del potere legislativo e giudiziario.

C’era una vasta corte imperiale, che era composta dal personale domestico di Costantino, compresi gli eunuchi.

Il Consiglio si componeva di 7 dignitari principali :

  • il prefetto del palazzo, specie di gran ciambellano che aveva la direzione del servizio privato.
  • i ministri con i seguenti compiti: amministrare le terre imperiali (come rei privatae, ‘conti degli affari privati’ che amministrava i beni particolari dell’imperatore; i conti della cavalleria e della fanteria domestica), amministrare il palazzo (come quaestor sacri palatii, ‘questore del sacro palazzo’ specie di cancelliere che preparava e registrava le leggi), gestire i lavori pubblici (compito del magister officiorum, ‘maestro dei lavori ‘); gestire le operazioni militari (in qualità di magister militum, ‘Maestro dei soldati’ o maestro degli uffizi, con giurisdizione sul personale della reggia e su tutta la polizia dell’impero, sugli arsenali e le fabbriche d’armi – quest’ultimo divenuto particolarmente importante alla fine del IV e V secolo), e infine amministrare la finanza (comes sacrarum largitionum, ‘conte delle sacre elargizioni’ che, quale ministro delle finanze, regolava la distribuzione delle imposte e giudicava dei processi in materia fiscale;) e il rispettivo personale.

Poi c’erano:

  • la guardia del corpo personale dell’imperatore (scholae palatinae, letteralmente ‘la corporazione del palazzo‘).
  • gli uscieri (silentarii).
  • segretari (notarii, da nota per ‘lettera’ o ‘promemoria’).

Egli era coadiuvato da un Consiglio supremo che avevano il comando della guardia d’onore composta di 3500 uomini, divisi in 7 scholae di 500 uomini ciascuna. Infine vi era un Consiglio di stato, detto consistorio del principe, che assisteva l’imperatore nell’amministrazione e si componeva di un certo numero di conti scelti fra i maggiori magistrati e fra gli uomini più ragguardevoli dell’impero. Nel grande numero di ufflìciali superiori e subalterni fu necessario stabilire una successione di grado e dignità o gerarchia. La quale dagli honorati, ossia dalle persone dell’ordine senatorio e da tutte quelle che avevano occupato gli alti uffici dello stato, scendeva agli offitiales o impiegati subalterni. Gli honorati erano ancora classati in illustri (prefetti del pretorio, prefetti di Roma e di Costantinopoli, i sette magistrati di corte); spettabili (vicari, proconsoli, conti, duchi milizia), chiarissimi (tutti gli ufficiali di grado senatorio). La nomina dei funzionari era fatta dall’imperatore, generalmente su proposta dei ministri e conferita mediante diplomi. Con l’accrescimento di tanti uffici naturalmente si accrebbero altresì le spese, le quali vennero a gravitare sopra i piccoli possidenti, giacché i grandi per i numerosi privilegi ne erano in gran parte esenti ; onde, malgrado la nuova costituzione, l’ impero non poteva sorreggersi lungamente.

Nell’amministrazione dell’impero Costantino completò l’opera di Diocleziano, separando le funzioni civili da quelle militari. Sotto di lui i praefecti praetorio cessano del tutto di svolgere funzioni militari e diventano i capi delle province.

L’amministrazione civile, soprattutto in materia di giurisdizione: nel 331 le loro decisioni furono rese definitive e non era consentito il ricorso all’imperatore. I governatori civili delle province (vicarii e praesides) non avevano alcun controllo sulle forze militari, che erano comandate da duces; e non contento della sicurezza contro l’usurpazione offerta da questa divisione del potere, Costantino impiegò i comites, che costituivano una grande componente dell’aristocrazia ufficiale, per supervisionare e riferire sulla loro condotta degli affari (vedi Conte), oltre a un esercito di cosiddetti agentes in rebus che, con il pretesto di ispezionare il servizio di posta imperiale, portavano avanti un sistema di spionaggio all’ingrosso.

Nell’organizzazione dell’esercito, la creazione di una forza di campo (comitatenses) accanto alle guarnigioni di frontiera permanenti (limitanei) fu probabilmente opera di Diocleziano; a Costantino si deve la creazione dei grandi comandi sotto i magistri peditum ed equitum. Egli introdusse anche la pratica, in seguito sempre più diffusa, di collocare barbari, soprattutto Germani, in posti di alta responsabilità.

L’organizzazione della società in corporazioni o professioni strettamente ereditarie era senza dubbio in parte completata prima dell’ascesa al trono di Costantino; ma la sua legislazione contribuì a riannodare le catene che legavano ogni individuo alla casta da cui proveniva. Tali originales sono menzionati nelle prime leggi di Costantino, e nel 332 lo status ereditario del colonus agricolo fu riconosciuto e applicato. Soprattutto i decuriones municipali, sui quali ricadeva la responsabilità di riscuotere le imposte, si videro chiudere ogni via di fuga.

Nel 326 fu vietato loro di acquisire l’immunità entrando nei ranghi del clero cristiano. Era interesse del governo assicurare con tali mezzi il regolare pagamento dei pesanti oneri fiscali, sia in denaro che in natura, che erano stati imposti ai sudditi dell’impero da Diocleziano e che non erano certo stati diminuiti da Costantino.

Una delle nostre antiche fonti parla di lui come se fosse stato per dieci anni un eccellente sovrano, per dodici un ladro e per dieci uno spendaccione, e fosse costantemente costretto a ricorrere a nuove esazioni per arricchire i suoi favoriti e per realizzare progetti stravaganti come la costruzione di una nuova capitale. A lui si devono le imposte conosciute come collatio glebalis, imposta sulle proprietà dei senatori, e collatio lustralis, imposta sui profitti del commercio.

Per quanto riguarda la legislazione generale, il regno di Costantino fu un periodo di febbrile attività. Quasi trecento dei suoi decreti ci sono stati conservati nei Codici, soprattutto quello di Teodosio. Essi mostrano un genuino desiderio di riforma e tracce evidenti dell’influenza cristiana, ad esempio nelle disposizioni umane sul trattamento dei prigionieri e degli schiavi e nelle pene imposte per i reati contro la morale. Tuttavia, in molti casi sono singolarmente rozzi nella concezione e pomposi nello stile, e furono palesemente redatti da retori ufficiali piuttosto che da legisti preparati.

Come Diocleziano, Costantino credeva che fosse giunto il momento di rimodellare la società con il fiat dell’autorità dispotica, ed è significativo che d’ora in poi ci troviamo di fronte all’affermazione non celata che la volontà dell’imperatore, in qualsiasi forma espressa, è l’unica fonte del diritto. Costantino, infatti, incarna lo spirito di autorità assoluta che, sia nella Chiesa che nello Stato, prevarrà per molti secoli.

La Donazione di Costantino

La Donatio Constantini, è la presunta concessione da parte dell’imperatore Costantino, in segno di gratitudine per la sua conversione da parte di Papa Silvestro, a quest’ultimo e ai suoi successori per sempre, non solo della supremazia spirituale sugli altri grandi patriarcati e su tutte le questioni di fede e di culto, ma anche del dominio temporale, su Roma, l’Italia e “le province, i luoghi e le città delle regioni occidentali”.

Il famoso documento, noto come Constitutum Constantini e composto da vari elementi (in particolare l’apocrifo Vita S. Silvestri), fu falsificato a Roma, tra la metà e la fine dell’VIII secolo. Venne incluso nel IX secolo, nella raccolta nota come False Decretali, e due secoli dopo fu incorporato nel Decretum da un allievo di Graziano.  Dubitò per primo della sua autenticità il cronista di Farfa nel XII secolo, poi Niccolò Cusano ed Enea Silvio Piccolomini. Ai tempi di Gibbon era ancora “iscritto tra i decreti del diritto canonico”, sebbene già respinto “dalla tacita o modesta censura dei sostenitori della Chiesa romana”.

Oggi è universalmente ammesso che si tratti di un grossolano falso. Nonostante il caratteristico scetticismo di Gibbon su questo punto, è certo che il Constitutum fu considerato autentico sia dai sostenitori che dagli oppositori delle pretese papali per tutto il Medioevo. Sebbene non sia stato utilizzato dai papi durante il IX e il X secolo, è stato citato come autorevole da eminenti ecclesiastici dell’impero franco (ad esempio da Ado di Vienne e Incmaro di Reims), ed è stato utilizzato da due papi franchi, Gregorio V e Silvestro II, per avanzare alcune rivendicazioni territoriali.

Ma solo nel 1050 divenne la base delle maggiori rivendicazioni papali, quando un altro papa franco, Leone IX, la utilizzò nella sua controversia con i Bizantini. Da questo momento in poi fu sempre più utilizzato da papi e canonisti a sostegno delle pretese papali e, a partire dal XII secolo, divenne una potente arma degli spirituali contro i poteri temporali.

Tuttavia, come sottolinea il cardinale Hergenrdther, è possibile che la sua importanza sia stata sopravvalutata in questo senso; una carta che si pretenda venga riconosciuta come una concessione da parte di un imperatore a un papa di una giurisdizione spirituale oltre che temporale, era, nella migliore delle ipotesi, un’arma a doppio taglio.

I papi in genere preferivano basare la loro pretesa di sovranità universale sul loro incarico diretto come vicari di Dio. I partigiani dell’Impero, invece, consideravano la Donazione come la fons et origo malorum, e Costantino era considerato come se, nel suo zelo verso la religione appena nata, avesse tradito la fiducia imperiale.

L’espressione di questa opinione non è rara nella letteratura medievale (ad esempio, Walther von der Vogelweide, edizione Pfeiffer, 1880, nn. 85 e 164); il caso più famoso è quello dell’Inferno di Dante (xix. 115):

“Ahi, Costantin, di questo mal fu matre.
Non la tua conversion, ma quella dote
Che da to prese il primo ricco patre!”.

La genuinità del Constitutum fu criticata per la prima volta da Lorenzo Valla nel 1440, il cui De falso credita et ementita Constantini donatione declamatiocon la sua critica mordace e la sua eloquenza ciceroniana aprì una controversia che durò fino a quando, alla fine del XVIII secolo, la difesa fu messa a tacere.

In epoca moderna, alla controversia sulla genuinità del documento è subentrato un dibattito non meno vivace sulla sua datazione, sulla sua paternità e sul luogo di origine.

Gli sforzi degli studiosi cattolici romani sono stati indirizzati (da quando Baronio attribuì la falsificazione ai greci) a dimostrare che la frode non fu commessa a Roma.

Il cardinale Hergenrother ritiene che sia stato scritto da un franco nel IX secolo, per dimostrare che i Greci erano stati giustamente espulsi dall’Italia e che Carlo Magno era il legittimo imperatore. Questa opinione, con delle variazioni, è stata sostenuta da chi ha scritto un articolo nella Civiltà cattolica nel 1864 (Serie v. vol. x. pp. 303, &c.) e appoggiata da Grauert, che sostiene che il documento sia stato redatto nell’abbazia di Saint Denis, dopo l’840.

Le prove ora disponibili, tuttavia, danno ragione a coloro che attribuiscono una data anteriore alla falsificazione e la collocano a Roma

 

Battaglia sul Ponte Milvio, Scuola Raffello, Giulio Romano, Stanze Vaticane, Roma
Battaglia sul Ponte Milvio, Scuola Raffello, Giulio Romano, Stanze Vaticane, Roma

Fonti

 – Le principali fonti antiche per la vita di Costantino sono la biografia di Eusebio, che però è parziale e inaffidabile a causa della la linea filo-ecclesiastica del suo autore (la cui Storia ecclesiastica è anch’essa importante), il Trattato de Mortibus Persecutorum attribuito a Lattanzio, le orazioni dei Panegyrici, nn. vi.-x. x., il secondo libro della Storia di Zosimo (scritto dal punto di vista pagano), i cosiddetti Excerpta Valesiana e gli scritti di Aurelio Vittore ed Eutropio.

Le leggi di Costantino contenute nel Codex Theodosianus sono state trattate cronologicamente da Otto K. Seeck, Zeitschrift der SavignyStiftung (Romanische Abteilung), x. p. i. ss. e 177 ss. Tra i libri moderni si possono citare J. C. F. Manso, Das Leben Constantins des Grossen (1817), Jacob Burckhardt, Die Zeit Constantins des Grossen (2a ed., 1880), H. Schiller, Geschichte der romischen Kaiserzeit, ii. 2, 164 ss. (1887), e soprattutto Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, vol. i. (2a ed., 1897). Per un breve resoconto in inglese si può consultare Costantino il Grande di C. H. Firth (1905). (H. S. J.)

Un bilancio più obiettivo sulla sua figura è stato affidato agli storici dei tempi successivi.
(Euseb. Vita Constantini ; Eutrop. lib. x. ; Sextus Rufus, Brev. 26; Aurel. Vict. Epit. 40, 41, de Caes. 40, &c.; Zosim. lib. ii., Zosimo è un violento antagonista di Costantino; Zonar. lib. xiii.; Lactant. de Mort. Persecut. 24-52; Oros. lib. vii.; Amm. Marc. lib. xiv., &c., Excerpta, p. 710, &c., ed. Valesius. I resoconti e le opinioni su Costantino forniti da Eumenio, Nazario, ecc. nei Panegirici (specialmente vi.-xi.), e dall’imperatore Giuliano, nei suoi Cesari e nelle sue Orazioni, sono di grande importanza, ma pieni di parzialità: Giuliano tratta Costantino molto male, e i Panegirici sono invece ciò che il loro nome appunto indica. 

Tra gli scrittori ecclesiastici, Eusebio, Lattanzio, Socrate, Sozomeno, Teofane, ecc. sono i principali; ma è già stato osservato che le loro dichiarazioni devono essere esaminate con grande cautela. La Vita di Costantino di Prassagora, che era nota ai Bizantini, è andata perduta. Oltre a queste fonti, non c’è quasi nessuno scrittore dell’epoca di Costantino e dei secoli successivi che non dia conto di lui; anche nelle opere dei bizantini più tardi, come Costantino Porfirogenito e Cedreno, troviamo preziose aggiunte alla storia del grande imperatore. L’elenco più completo delle fonti, corredato da osservazioni critiche, è contenuto in Tillemont, Histoire des Empereurs. Vedi anche Manso, Leben Constantins des Grossen.)

(Libero adattamento e traduzione da Encyclopædia Britannica Eleventh Edition“, 1910-1911 da “A Dictionary of Greek and Roman biography and mythology” di John Murray, 1873, e da Manuale di Storia Romana di G. Bragagliolo, 1896, con aggiunte e integrazioni)

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  L’economia romana è stata per molti secoli tra le più solide del Mediterraneo. Roma era il centro fondamentale di una rete commerciale che in vari periodi si estendeva in quasi tutta l’Eurasia e il Nordafrica. Alcuni studiosi sostengono che, fino al II secolo, l’Impero romano avesse l’economia più potente del mondo. Le invasioni barbariche e la coerenza per l’Italia delle stesse province, tuttavia, avrebbero rappresentato un sostanziale rovesciamento delle sorti, contribuendo a un periodo di declino e stagnazione. Le riforme di Costantino segnarono l’inizio di una parziale rinascita, ma tutto questo muterà già dopo la sua morte. Uno dei fondamenti economici dell’impero era il commercio. Lo Stato controllava strettamente sia il commercio interno che quello internazionale e manteneva il monopolio dell’emissione di moneta.  

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