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LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO

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Gli Unni in questo periodo erano governati da Attila, "il flagello di Dio". Il ritratto di questo fiero e selvaggio condottiero viene di solito dalla tradizione così dipinto. I suoi lineamenti portavano il segno della sua origine orientale. Aveva una testa grande, una carnagione scura, occhi piccoli e profondi, un naso piatto, pochi peli al posto della barba, spalle larghe e un corpo corto e squadrato, di forza energica ma di forma sproporzionata. Si dice che quest'uomo comandasse a suo piacimento un esercito di oltre mezzo milione di uomini. Quando ricevette dal figlio di Clodio l'invito a interferire negli affari della Gallia, Attila stava già meditando di invadere sia l'Impero d'Occidente che quello d'Oriente; ma la prospettiva di un alleato in Gallia, con l'opportunità di attaccare successivamente l'Italia da ovest, era troppo favorevole per essere trascurata. Una marcia di seicento miglia portò gli Unni fino al Reno. Attraversato questo fiume, continuarono la loro avanzata, saccheggiando e bruciando qualsiasi città si trovasse sul loro cammino. I Visigoti sotto Teodorico, unendosi ai Romani sotto Ezio, incontrarono gli Unni presso Orléans. Attila si ritirò verso Chalons, dove, nel 451, si combatté una grande battaglia che salvò la civiltà dell'Europa occidentale. Attila iniziò l'attacco. I Romani lo affrontarono coraggiosamente e una carica dei Visigoti completò la disfatta dei selvaggi. Ezio non si spinse oltre la vittoria, ma permise agli Unni di ritirarsi in direzione dell'Italia. Il "flagello" prima attaccò, prese e rase al suolo Aquileia. Poi invase l'intero Paese, risparmiando solo coloro che si erano preservati la vita consegnando le proprie ricchezze. Fu a questa invasione che Venezia dovette la sua ascesa. Gli abitanti, fuggiti all'avvicinarsi degli Unni, trovarono nelle isole delle lagune che si affacciava sull'Adriatico un porto sicuro. Attila morì poco dopo (453) per lo scoppio di un vaso sanguigno e con la sua morte l'impero degli Unni cessò di esistere.
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Poster del film La Caduta dell'Impero Romano (1964)

Poster del film La Caduta dell’Impero Romano (1964)

Dalla morte di Valentiniano III alla caduta dell’impero d’Occidente (a. 455-476)

Massimo, autore della morte dell’ultimo della stirpe di Teodosio, si fece dai suoi seguaci proclamare imperatore, e quasi per acquistarsi un valido titolo alla successione, costrinse Eudossia, vedova di Valentiniano, a divenire sua sposa.

Tra le perdite che l’impero d’ occidente ormai smembrato aveva subito, la più grave fu certamente quella delle provincie d’Africa, sia perché da lì veniva per gran parte il grano che approvvigionava Roma, sia perché l’occupazione dei porti e delle coste Africane rendeva il nemico padrone del Mediterraneo. Cartagine occupata dal re dei Vandali rinasceva nemica di Roma e faceva finalmente vendetta delle sconfitte puniche. Cosi nella seconda metà del V secolo, l’Italia non era più minacciata soltanto da barbari che scendevano dalle Alpi, ma ancora e più terribilmente dalle invasioni marittime. L’Italia fu da allora aperta a tutti gli incursori.

I navigli di Genserico praticavano la pirateria, facevano sbarchi nella Sicilia, sulle coste di Lucania e di Campania, intercettavano i navigli Romani e da lontano già dominavano Roma. Il disegno di assalire la città via mare forse Genserico l’aveva da tempo meditato quando entrò in alleanza con Attila: se i due condottieri barbari  avessero ad uno stesso momento assalito l’Italia e Roma dal settentrione per le Alpi, dal mezzogiorno per il mare, l’impero ne sarebbe uscito distrutto. Ma se quel disegno fu concepito, non poté essere, per motivi a noi ignoti, condotto ad effetto. Per questo suo antico proposito, solo ora Genserico trovava  il momento più propizio.

Dopo la morte di Ezio, nei torbidi rivolgimenti seguiti alla morte di Valentiniano, l’Italia si offriva quasi inerme al nemico. Si narra che Eudossia per vendicarsi delle violenti nozze con l’assassino del suo sposo suo, avesse fatto segretamente invito a Genserico di venire con la flotta fino ai lidi del Lazio. Se questo è vero, l’invito di Eudossia si può considerare come una semplice occasione al compimento di un disegno già da lungo maturato.

Il Sacco di Roma
Il Sacco di Roma

Genserico saccheggia Roma (455)

Pochi mesi dopo la morte di Valentiniano III, la flotta di Genserico appariva alle foci del Tevere e occupava il porto di Ostia. Massimo, imperatore, che era in quel momento a Roma, non pensò alla difesa della città, ma cercò miseramente di fuggire; il popolo insorto nell’agitazione (anno 455) e nello spavento catturò il vile fuggiasco, ne fece strazio e buttò il cadavere nel fiume. Intanto Genserico con il suo esercito avanzava verso Roma. Il senato non seppe fare altro  se non inviare al nemico una supplichevole ambasceria, e come già da Attila, così anche presso Genserico si presentò a capo dei dignitarî Romani il pontefice Leone, cercando con la santa maestà della sua presenza e l’autorità della sua parola di mitigare l’animo del re barbaro.

Si narra che questi ottenesse la promessa che Genserico si sarebbe astenuto dagli incendi e dal sangue, ma fu una promessa bugiarda, perché le storie di quel tempo raccontano che, una volta entrati i Vandali in città, per quattordici giorni vi condussero strage e saccheggio (12-26 di giugno dell’anno 455). Ricco di preziosissime spoglie, il re dei Vandali parti,  conducendo con sé Eudossia, vedova dei due imperatori, creduta ispiratrice della chiamata dei barbari, insieme con le due figlie Eudossia e Placidia minore, che furono tratte a Cartagine; la giovane Eudossia divenne poi sposa di Unnerico, figlio e successore di Genserico.

Al secondo saccheggio di Roma s’accompagnò una generale sollevazione ad indipendenza dei reggitori delle provincie dove ancora vigeva la potestà l’imperiale Romana, come già era accaduto al tempo di Gallieno; ma allora l’impero aveva ancora le sue forze vitali e l’unità potè essere ristabilita e a lungo conservata dalla mano vigorosa degli imperatori illirici; ora invece l’impero, come un corpo logoro e senile, si sfasciava irreparabilmente.

L’impero era ad un medesimo tempo governato dai barbari e da questi stessi guerreggiato. Si era formata un’aristocrazia barbarica di mastri di milizie, di ministri di palazzo che stavano come patroni ed arbitri degli imperatori e dello stato, e tuttavia non osarono mai  prendere la porpora e il nome di Augusto. Ma né gli imperatori Romani potevano far a meno delle forze militari barbariche, né i condottieri di queste osavano esplicitamente assumere l’impero; da qui una nuova condizione di contrasti e d’anarchia.

Scena del Film La Calata dei Barbari 1968
Scena del Film La Calata dei Barbari 1968

Mecio Avito (anno 455-456)

Vacando l’impero per la morte di Massimo, il re dei Visigoti di Tolosa, Teodorico, succeduto a Torrismondo, fece proclamare in Arles, ai 10 di luglio del 455, nuovo imperatore eletto Flavio Mecio Avito, nobile gallico che era già stato prefetto del pretorio ed ambasciatore di Massimo alla corte di Tolosa. L’elezione di Avito fu confermata dal senato ed anche da Marciano, imperatore bizantino. Ma se Avito riconosceva l’impero dai Visigoti di Gallia, ben presto a lui s’impose un capo barbarico, Ricimero, che discendendo per parte di padre dalla stirpe reale degli Svevi stanziati nelle Spagne, era nemico ai Visigoti di Tolosa, come quelli che con gli Svevi iberici avevano fatto guerra.

Ricimero aveva militato fedelmente per Valentiniano e per Massimo ed ora riconosceva Avito, da cui riceveva il titolo di patrizio; e questo pareva giusto compenso ai suoi meriti, perché egli aveva con prospera fortuna guerreggiato contro i Vandali in mare, e una volta vintili sui lidi della Corsica, li aveva ricacciati dalle scorrerie piratesche  fatte sulle coste dell’Italia meridionale. Alla mente ambiziosa di Ricimero parve possibile o d’impadronirsi dell’impero o di metterlo in mano di principe più forte che non fosse Avito; e perciò, per opera sua sollevate le milizie, Avito fu costretto a deporre la potestà assumendo il grado di vescovo di Piacenza (a. 456). Ricimero Svevo per alcuni mesi col titolo di patrizio tenne il governo; poi conferi il titolo e la potestà imperiale a Giulio Maioriano o Maggioriano, uomo provato per valore e per senno.

Locandina del film, La Rivolta dei barbari, 1964
Locandina del film, La Rivolta dei barbari, 1964

Giulio Maioriano o Maggioriano (457-461)

Nel breve regno di Maggioriano risplende un ultimo raggio di gloria sulla cadente fortuna di Roma: le poche leggi promulgate da lui  e che sono da noi conosciute, rivelano una saggia intenzione di portare un efficace rimedio ai pubblici disordini; le sue imprese militari lo mostrano buon generale formato alla scuola di Ezio. Guerreggiò e vinse Teodorico per mettere un argine all’invadente potenza dei Visigoti.

Respinse nuovi assalti dei Vandali sui lidi della Campania, e adunando un forte naviglio nel porto di Cartagena di Spagna, pareva maturasse il pensiero di riconquistar l’Africa. Ma non potè coronare il suo disegno. Troppi erano coloro che nei mali che affliggevano l’impero trovavano soddisfazione d’ambizione o d’interessi; le savie riforme svegliano nemici. Ricimero stesso, che nell’imperatore non trovava abbastanza docile strumento, o istigò il malcontento o volle raccoglierne il frutto; si formò una congiura, e quando Maioriano ritornò dalla Gallia fu affrontato a Tortona, costretto per violenza a deporre la potestà, e dopo brevi giorni fu ucciso (a. 461).

Libio Severo (461-465)

Dopo un nuovo breve interregno fu eletto per opera di Ricimero, ossequente il senato, Libio Severo, le cui virtù non furono oggetto né d’ammirazione né d’invidia, poiché pur avendo regnato quattro anni, la storia pare che appena si degni di ricordarne il nome. Ricimero reggeva l’ Italia come arbitro dell’imperatore; e quando Severo morì nell’anno 465, il patrizio barbaro tenne il governo in un lungo interregno di venti mesi. L’infaticato Genserico correva il Mediterraneo, infestava di piraterie le coste d’Italia, e in pari tempo accampava pretese di compartecipazione all’impero per il figlio Unnerico, sposo ad Eudossia di Valentiniano III.

Non poteva Ricimero da solo sostenere la guerra e le pretese di Genserico; e cerco appoggio nell’imperatore d’oriente, a lui cosi riconoscendo una supremazia sull’Italia e sulle reliquie dell’impero occidentale. Morta Pulcheria nell’anno 453, Marciano aveva continuato a reggere l’impero fino al 457; gli era succeduto Leone di Tracia.

Fanteria Romana del tardo Impero, illustrazione da una scatola di soldatini da collezione
Fanteria Romana del tardo Impero, illustrazione da una scatola di soldatini da collezione

Procopio Antemio (467-472)

Ricimero invocò dunque ed ottenne l’intervento di questi per provvedere al vacante impero occidentale; e Leone designò imperatore un Antemio galata, Procopio Antemio. ll senato confermò l’elezione fatta dall’ imperatore bizantino, in tal modo riconoscendone la supremazia (anno 467), e Ricimero al nuovo imperatore Romano si legò con vincolo di parentela, sposandone la figlia.

Gli imperatori Antemio e Leone insieme congiunsero le loro forze per continuare a condurre la guerra contro i Vandali, non solo per difendere l’Italia e le isole del Mediterraneo ma per portare gli eserciti in Africa e riconquistarla, distruggendo il recente regno vandalo. L’impresa, per una sconfitta toccata da Basilisco, generale di Leone imperatore, andò interamente fallita; la vittoria dei Vandali consolidò la potenza di Genserico.

Anicio Olibrio (472)

Questi non cessava di accampare diritti d’intervento nella successione imperiale d’occidente, ed ora Olibrio erasi fatto caldo fautore di Anicio Olibrio, pretendente di diritto in quanto sposo di Placidia, figlia di Valentiniano III. Ricimero, che sempre inquieto ed ambizioso già era venuto in guerra col suocero Antemio, si diede tutto alla causa d’Olibrio, e quando questi venne in Italia, lo proclamò Augusto e, posto campo a Milano, lo sostenne colle armi. Il senato e il popolo di Roma parteggiavano per Antemio; e cosi non più l’impero ma l’Italia stessa fu divisa in due campi nemici (anno 472). Ricimero mosse il suo esercito contro Roma, e si accampò a Ponte Milvio. L’esercito di Antemio sostenne per un certo tempo la difesa, ma fu poi vinto in battaglia presso il Mausoleo d’Adriano (Castel Sant’Angelo); Antemio tentò di fuggire, ma sorpreso, fu dall’iniquo suo genero messo a morte (a. 472)

Ricimero saccheggia Roma (472)

Le milizie di Ricimero entrarono in Roma e la misero a saccheggio (luglio dell’ anno 472); un patrizio e generale dell’impero ordinava il terzo saccheggio che Roma nello spazio di settant’anni aveva patito. Quest’era l’amaro frutto dell’aver gl’imperatori assunto genti barbariche come ministri ed ausiliari. Poco tempo dopo, moriva lo stesso Ricimero. L’imperatore Olibrio designava a succedergli nel grado di mastro delle milizie e nel titolo di patrizio il nipote di lui Gundebaldo, borgognone; ma nello stesso anno moriva anche Anicio Olibrio (anno 472).

Catafratti del Tardo Impero, Scatola di soldatini da collezione
Catafratti del Tardo Impero, Scatola di soldatini da collezione

Glicerio (473)

Il trono dell’impero era nuovamente vacante, e il patrizio barbarico Gundebaldo, sull’esempio di Ricimero, si presentava arbitro della successione: egli, dopo un breve interregno, fece proclamare a Ravenna  imperatore un Glicerio, ignoto di qual discendenza e dignità (marzo dell’anno 473).

Giulio Nepote (474-475)

Ma l’imperatore d’oriente voleva mantener vivi i diritti suoi nella successione occidentale, e non riconoscendo l’eletto di Gundebaldo, proclamò imperatore Giulio Nepote, parente d’un conte Marcellino che nelle recenti sollevazioni delle provincie si era costituito signore indipendente  della Dalmazia. Giulio Nepote con una buona flotta, fornitagli dall’imperatore bizantino, si trasferì a Ravenna; al suo arrivo Glicerio miseramente fuggi a Roma, lasciandogli libera la residenza imperiale e la più munita fortezza d’ Italia.

Da Ravenna, Giulio Nepote mosse per Roma; senza combattere, fece prigioniero Glicerio, l’obbligò a deporre la potestà imperiale e a farsi cherico, assegnandogli il vescovado di Salona in Dalmazia ; Giulio Nepote dal senato fu riconosciuto e confermato imperatore. Pareva si annunziasse un regno tranquillo, come se le forze dopo lunga agitazione ormai riposassero o s’addormentassero in una languida stanchezza. Ma sempre la scintilla delle guerre civili era sempre viva, cioè il contrasto della autorità imperiale con la potestà del patrizio barbarico. Caduto Glicerio, il patrizio borgognone Gundebaldo si ritiro dall’Italia. Il nuovo imperatore greco, Giulio Nepote, commise l’alto ufficio ad un Oreste, illirico di nascita, cresciuto fra le armi degli Unni come ufficiale di Attila e suo ambasciatore e fedele negoziatore alla corte di Costantinopoli, sotto Teodosio. Morto Attila e dissolvendosi l’impero unnico, Oreste passò ai servigi dell’imperatore d’occidente, sali in grado con Antemio, e da Giulio Nepote ottenne il titolo di patrizio comandante delle milizie imperiali. 

Oreste e Romolo Augustolo (475-476)

Il dissidio fra le due potestà, una delle quali, l’imperiale, non aveva se non il nome e le insegne del potere, mentre il patrizio barbarico aveva la forza effettiva, scoppiò in occasione di nuova guerra contro i Visigoti di Tolosa, i quali cercavano d’ estendere loro dominio su parti della Gallia ancora congiunte coll’impero occidentale. Oreste cogli eserciti raccolti a Foro Livio (Forlì) doveva passare in Gallia; ma invece, dichiarandosi ribelle, condusse l’esercito contro Ravenna e costrinse Giulio Nepote a fuggire nei paterni dominii di Dalmazia. Oreste al finir d’agosto dell’anno 475 entrò in Ravenna, e dopo un breve interregno fece conferire il titolo d’imperatore al sụo figlio Romolo, cui fu aggiunto il titolo d’Augusto; ma di tanta maestà di nome più non sembravano degni questi vani, ridicoli simulacri della potestà imperiale, e il titolo del figlio di Oreste si mutò nella storia nel quasi puerile nomignolo di Augustolo. Romolo Augustolo fu l’ultimo imperatore Romano.

Le popolazioni barbariche degli Eruli, Rugi, Sciti, Turcilingi, che nei lunghi commovimenti cagionati dall’immigrazione degli Unni e poi dal dissolversi del loro impero erano venute a stabilirsi sugli orientali confini d’Italia, quali alleati degli imperatori, nei cui eserciti formavano le milizie federate, chiesero stanziamento con assegnazioni di terreno nell’Italia a quell’Augusto ch’era figlio di generale che cogli Unni aveva militato. Augustolo ed Oreste respinsero la domanda. Una potestà che ormai non si fondava più nel diritto, ma era in piena balia della forza brutale, non poteva essere rispettata se non col sostegno di una forza maggiore.

Odoacre

Oreste ed Augustolo dovettero prepararsi a guerra contro i federati barbarici, i quali nel loro malcontento si raccoglievano intorno ad un capo, Odoacre, (Odachar) un barbaro scitico della stirpe dei Rugi, figlio di un Edecone che nella corte d’Attila era stato commilitone e compagno di Oreste. Odoacre dalla Pannonia, dove forse aveva raccolto nuove genti per venire a soccorso dei ribellantisi eserciti federati, per i valichi orientali entrò in Italia, quale nemico dell’imperatore e mosse sopra Milano.

Oreste s’apprestò ad affrontarlo al passo dell’Adda; ma poi fu costretto a ripiegare sopra Pavia. Odoacre lo inseguì; assediò ed espugnò Pavia, abbandonandola al saccheggio delle sue truppe; Oreste fatto prigioniero fu tratto a Piacenza ed ivi ucciso. Augustolo, chiuso in Ravenna, si arrese, e piegandosi supplichevole davanti al vincitore, depose il potere e fu relegato nell’antica villa di Lucullo in Campania (anno 476).

Locandina del film La caduta dell Impero Romano
Locandina del film La caduta dell Impero Romano

Fine dell’Impero Romano d’occidente (476)

Le milizie confederate salutarono Odoacre col titolo di re; così cessarono il titolo e la successione imperiale nell’occidente. I sacri ornamenti e le insegne dell’impero furono mandati a Zenone imperatore d’oriente, il quale ad Odoacre riconobbe il titolo di re e commise l’amministrazione (anno 476) d’Italia. L’ultimo imperatore Romano fu deposto nell’anno 1229 dalla fondazione della città, 476 dell’èra volgare. Odoacre è il primo re barbarico d’Italia.

L’ultima legione

Copertina del romanzo L'ultima Legione di Valerio Massimo Manfredi
Copertina del romanzo L’ultima Legione di Valerio Massimo Manfredi

L’ultima legione è un romanzo dello scrittore italiano Valerio Massimo Manfredi. L’edizione italiana del romanzo (Mondadori) ha esattamente 476 pagine, come l’anno in cui è ambientata la storia.

Trama

Nell’anno 476, l’Impero Romano sta volgendo al termine. Diviso in due parti e devastato dalle invasioni dei barbari, sono pochi i territori dove mantiene il suo dominio.

Il patrizio romano Flavio Oreste ha nominato suo figlio tredicenne, Romolo Augustolo, Imperatore d’Occidente. Il capo degli Eruli, Odoacre, insorge e uccide la famiglia del giovane sovrano. La resistenza romana si concentra a Tortona, dove ilil Castello dell’ultima legione romana, creata sull’esempio degli eserciti del tempo di Mario, e che porta il nome di «Nova Invicta». Lì un ufficiale germanico, Wulfila, guida l’attacco e sconfigge i legionari. Aureliano Ambrosio, ufficiale della legione, è stato salvato e si reca alla villa di Flavio Oreste per chiedere aiuto, ma la trova distrutta e riceve l’ultima richiesta di Oreste morente: salvare e proteggere Romolo.

Aureliano cerca di liberare Rómolo imprigionato a Ravenna, ma viene ferito; in punto di morte, viene salvato da una giovane veneziana Livia Prisca, che lo salva dai barbari e guarisce le ferite del legionario. Livia sembra riconoscere quel valoroso ufficiale, pensando che sia lo stesso che l’aveva salvata tanti anni prima ad Aquileia, ma Aureliano, che non ricorda il suo passato, lo nega. Durante la sua permanenza nelle paludi ravennate, Aureliano apprende da un informatore che alcuni soldati della “Nova Invicta» sono stati catturati e portati a Miseno in Campania, e che Wulfila trattiene Romolo e il suo precettore di origine britannica, Meridio Ambrosinus, a Capri. Aureliano e Livia si dirigono a sud e, giunti a Miseno, riescono a liberare due compagni d’armi di Aureliano: Batiato, gigante etiope di eccezionale forza, e Vatreno, veterano di grande esperienza, oltre a Demetrio e Orosio, due schiavi. che erano stati legionari e le cui famiglie perirono nelle invasioni barbariche. Di conseguenza, Aureliano, Livia e i loro nuovi compagni si recano a Napoli, dove organizzano la liberazione di Romolo e del suo tutore.

Intanto, a Capri, Romolo scopre un luogo segreto nella villa dove è tenuto prigioniero. Si tratta di un santuario dedicato agli imperatori romani, dove si trova una magnifica statua di Giulio Cesare, sotto la quale è custodita la sua leggendaria spada che reca l’iscrizione: «CCai.Iul.Caes.Ensis Caliburnus” (la spada Calibica di Giulio Cesare) e che Romolo rivendica come suo. Pochi giorni dopo, il gruppo di Aureliano irrompe nella villa e libera il giovane.

Inizia quindi la loro fuga, prima verso Fano, dove attendono invano una nave che li porti a Costantinopoli, e poi verso nord, attraverso la Gallia e il regno romano di Soissons. Sempre inseguiti dalle truppe di Wulfila, che cerca vendetta contro Aureliano, raggiungono finalmente la Britannia, dove scoprono che il “La dodicesima legione del drago», continua ad esistere sotto il comando di Costantino III, noto ai Britanni comeKustennin. Ancora minacciati da Wulfila e dal vecchio tiranno Vortigern, che governa gran parte dell’isola con il volto nascosto da una maschera d’oro, decidono di affrontare tutti i loro nemici in una battaglia sul Monte Badon, vicino al Vallo di Adriano. La notte prima della battaglia, grazie ad Ambrosino, Aurelio scopre il suo passato dimenticato ricordando la caduta di Aquileia e i suoi genitori uccisi da Wulfila, e giura vendetta.

Locandina del film La caduta dell Impero Romano
Colin Firth è Aurelio nel film L’ultima Legione

In quest’ultima battaglia, i protagonisti sconfiggono i barbari grazie all’aiuto della dodicesima legione del drago In combattimento muoiono Vatreno e i due ex schiavi Demetrio e Orosio, mentre Batiato e Livia rimangono solo feriti. Wulfila cerca di uccidere Romolo, ma quest’ultimo lo uccide con la spada di Cesare. Tuttavia, saputo della morte dei suoi amici, il giovane getta l’arma nel lago, dove rimane conficcata in una roccia. Romolo è noto da allora come Pendragon, (“figlio del drago”), e sposa una giovane donna di nome Igraine (figlia di Costantino) dalla quale genera il futuro re Artù. Quanto ad Ambrosino, si chiamerà Merlino.

La spada, nel tempo, rivela solo una parte della sua iscrizione: «e-s-calibur».

Nelle parole di Manfredi, l’ispirazione del romanzo si deve a «… il prestigioso celtista Venscelas Kruta, della Sorbona, buon amico, che mi offrì la chiave di un’interpretazione latina del nome Excalibur, e così ho potuto procedere con la spada del mondo mediterraneo. La questione ha un’importante dimensione simbolica e ideologica, poiché permette di mostrare un passaggio di testimone dall’impero romano ad un altro grande impero mondiale, quello britannico. In questo senso volevo fare una parabola sulla fine degli imperi e sull’eredità delle civiltà.

Romolo Augusto nel film L'ultima Legione
Romolo Augusto nel film L’ultima Legione

Adattamento cinematografico

I diritti del film furono acquisiti dalla Universal Pictures per realizzare un blockbuster internazionale chiamato anche essoL’ultima legioneRegia di Doug Lefler. Nella pellicola, i personaggi e le circostanze del romanzo vengono alterati, facendolo assomigliare ad un tipico film sui romani.

Il film uscito nel 2007 ebbe la sua prima mondiale ha avuto luogo ad Abu Dhabi il 6 aprile 2007.

Trama

Odoacre nel film L'ultima Legione
Odoacre nel film L’ultima Legione

La sceneggiatura, come il romanzo (scritto da Valerio Massimo Manfredi), è liberamente ispirato a un evento del V secolo: la caduta dell’Impero Romano d’Occidente con la deposizione dell’imperatore Romolo Augustolo. A partire da questo fatto storico vengono inglobati nella narrazione, elementi leggendari originari del patrimonio della provincia della Britannia, già abbandonata dai Romani, e legati al ciclo di Re Artù.

La storia è narrata da Ambrosino, un vecchio druido di origine britannica e membro di una confraternita segreta e inizia quando Romolo sta per essere incoronato imperatore. Suo padre, Flavio Oreste, è il generale in capo dell’esercito romano e la notte prima della cerimonia, Odoacre, capo dei Goti federati, chiede la consegna di terre in Italia, richiesta che viene respinta. Allo stesso tempo, Romolo incontra Aureliano Caio Antonio, detto Aurelio, comandante della legioneNova Invicta, un distaccamento addestrato nelle antiche truppe romane.

Dopo l’incoronazione, Roma viene attaccata dai Goti, che uccidono Oreste e fanno prigioniero Romolo insieme al suo precettore Ambrosinus. La maggior parte degli uomini della legione, impegnati a proteggere l’imperatore, vengono uccisi, ma Aurelio sopravvive.

Odoacre, ora sovrano dell’Occidente, progetta di uccidere Romolo, ma Ambrosinus lo convince a mandarlo prigioniero nell’isola di Capri sotto la sorveglianza del suo luogotenente Wulfila. Giunto a Capri, nella villa Jovis fatta costruire da Tiberio, Romolo con l’aiuto del suo tutore ritrova l’antica spada di Giulio Cesare; era stato forgiato da un fabbro calibano e un’epigrafe, sul piedistallo della statua di Cesare, proclama:“Una lama per difendere, un’altra per conquistare. In Gran Bretagna sono stata forgiata per essere maneggiata da colui che è destinato a governare.”. La stessa spada ha un’iscrizione incisa, poco leggibile, che recita: CAI(us) • IVL(ius) • CAES(sar) • ”’E”’N”’S”’IS ”’CALIBVR ” ” NVS. Romolo conserva l’arma su consiglio di Ambrosino.

Una scena del Film, L'ultima Legione
Una scena del Film, L’ultima Legione

Entrambi vengono liberati dal fedele Aurelio, accompagnato da Vatreno, Batiato e Demetrio, tre legionari superstiti dellaNova Invicta. A loro si unisce Mira, una guerriera bizantina di origine Kerali che è stata inviata per portare il giovane imperatore a Costantinopoli. I fuggiaschi si dirigono verso Fano su suggerimento del senatore Nestore, vecchio amico di Aurelio, ma ben presto scoprono che si tratta di una trappola tesa da Odoacre con l’approvazione dell’imperatore d’Oriente Zenone (Odoacre aveva giurato fedeltà a Zenone in cambio del riconoscimento come nobile romano e re d’Italia). Quando la trappola fallisce, Nestore cerca di scappare, ma si rifiuta di combattere con l’amico, sostenendo di non avere altra scelta, Aurelio, ferito dal tradimento, lo uccide.

Ambrosinus convince Romolo a cercare rifugio in Gran Bretagna, dove la Nona Legione (chiamata Legione del Drago) rimane fedele all’Impero. I fuggitivi, guidati da Aurelio e con Mira, che ha deciso di accompagnarli, valicano le Alpi e attraversano la Gallia fino alla Manica. Sono inseguiti da Wulfila e dai suoi uomini; perché il Goto brama la spada di Cesare. Alla fine, il gruppo raggiunge il Vallo di Adriano, ma non trova alcuna traccia della legione, finché un contadino non si avvicina e rivela di essere il loro comandante. Con il ritiro delle truppe imperiali, la legione aveva deciso di sciogliersi e stabilirsi in Britannia come comunità di contadini. La maggior parte degli uomini della legione si era sposata e aveva una famiglia. Inoltre non volevano inimicarsi il potente signore della guerra Vortigern, che governa il paese. Durante la sua permanenza nel paese, Romolo incontra e fa amicizia con una giovane donna di nome Igraine. Aurelio e Mira praticano il combattimento con la spada e si avvicinano l’uno all’altro. Ambrosinus mostra a Romolo una cicatrice sul petto, simile al disegno sull’elsa della sua spada, che ha ricevuto da Vortigern dopo essersi rifiutato di dirgli dov’era la spada di Cesare, che la cercava per poter governare tutta la Gran Bretagna.

Aishwarya Rai nel film L'ultima Legione
Aishwarya Rai nel film L’ultima Legione

Dopo l’incontro con i Goti di Wulfila, Vortigern decide di catturare o uccidere Romolo come gesto di amicizia nei confronti di Odoacre. Per questo ordina l’assassinio della moglie e dei figli del fabbro del paese davanti agli occhi di Igraine. La donna poi racconta cosa è successo agli abitanti del villaggio e il fabbro giura vendetta, Aurelio e i suoi uomini decidono di guidare un esercito al Vallo di Adriano per affrontare gli eserciti di Vortgyn in una battaglia finale. Mentre se ne vanno, assicura loro che Romolo è l’imperatore di Roma deposto.

Prima di lasciare la città, Romolo riceve da Igraine un’armatura romana appartenuta a suo fratello, che ormai sarebbe troppo piccola per un adulto. Aurelio, brandendo la spada di Cesare, guida i suoi uomini e un piccolo numero di guerrieri celtici contro le forze di Vortigern al Vallo di Adriano. I britannici stanno per sconfiggere la piccola forza di Aurelio quando compaiono i soldati della Nona Legione, nelle loro vecchie armi e uniformi romane, e cambiano le sorti della battaglia. Le due parti cessano le loro ostilità vedendo Ambrosinus tenere in alto la maschera d’oro di Vortigern, che egli ha nel frattempo sconfitto e poi ha bruciato il suo corpo, in un santuario della loro fratellanza segreta.

Dopo aver ferito gravemente Aurelio, Wulfila affronta Romolo, il quale, armato della spada di Cesare, lo ferisce mortalmente al petto dicendo “per mia madre”, e lo finisce aggiungendo: “per mio padre”. Poi si rivolge ad Aurelio e si congratula con lui paragonando il suo combattimento a quello di un drago, al quale Aurelio risponde che Romolo ha combattuto “come il figlio di un drago”. Stanco delle morti, Romolo scaglia via la sua spada che si conficca in una grossa roccia e vi rimane incastrata.

Molti anni dopo, Ambrosinus, ora conosciuto con il suo nome druidico Merlino, porta un ragazzo sul campo di battaglia e gli racconta gli eventi ormai leggendari. Merlino aggiunge che Aurelio sposò Mira e i due allevarono Romolo come loro figlio, che crebbe fino a diventare un saggio sovrano, prese Igraine come sua moglie e adottò il nome “Pendragon”, “il figlio del drago”. Il ragazzo, Artù, riconosce che è la storia dei suoi genitori.

In una scena finale, la spada di Giulio Cesare è mostrata incastonata nella roccia, con il muschio che cresce sulla lama, coprendo l’iscrizione originale, lasciando solo le lettere latine che, come se componessero un’unica parola “EXcalibur”.

Ben Kingsley in una scena del film
Ben Kingsley in una scena del film

Differenze tra il film e i fatti storici

Le vicende narrate dal film e dal romanzo omonimo sono frutto della fantasia dell’autore. Lo stesso vale per i personaggi che vi partecipano e per la Nona Legione; tranne l’ultimo imperatore Romolo Augusto o Augustolo, ilil maestro dei soldati Oreste e il condottiero federato Odoacre (erulo, anche se alcune fonti lo considerano un goto), che sono personaggi reali, sebbene i fatti e le azioni loro attribuite non siano storiche. Nonostante i ricercatori ritengano che il leggendario Artù fosse originate dalle memorie di un condottiero anglo-romano del V-VI secolo, imparentato con il personaggio storico Ambrogio Aureliano, non vi è alcuna prova di una relazione tra questi personaggi e Romolo Augustolo, morto in esilio a Napoli.

Di seguito è riportato un elenco dei principali aspetti in cui il film differisce dalla storia reale:

  • Nel film viene indicato che la vicenda si svolge nell’anno 460 d.C., ma Romolo Augusto non fu nominato imperatore fino al 475 e venne deposto un anno dopo. Roma è indicata anche come capitale dell’Impero d’Occidente, mentre nel 476 la capitale era Ravenna. Infatti, già ai tempi dell’imperatore Diocleziano, Roma aveva perso il suo primato politico, pur essendo ancora sede del Senato romano.
  • Romolo Augustolo viene mandato in esilio nell’isola di Capri, mentre secondo le fonti storiche vi fu relegato nel Castellum Lucullanum, l’antica villa di Lucullo (l’attuale Castel dell’Ovo), nel Golfo di Napoli.
  • Romolo Augustolo viene presentato come discendente di Giulio Cesare, mentre in realtà la famiglia Giulio era scomparsa a metà del II secolo e gli imperatori non seguivano il principio dinastico. Si afferma anche che Tiberio fosse l’ultimo della stirpe di Cesare, il che non è storico vero. Invece Oreste, padre di Romolo, era quasi certamente di origine germanica.
  • Odoacre è citato come comandante dei Goti, mentre in realtà fu comandante degli Eruli federati che stazionarono in Italia nella seconda metà del V secolo.
  • Vortigern non era un barbaro, ma un britannico-romano. Sia lui che i suoi uomini e Odoacre e le sue truppe sono raffigurati come selvaggi, quando in realtà entrambi i gruppi erano vestiti come i romani del V secolo. I castelli raffigurati risalgono al periodo medievale e non apparvero in Gran Bretagna fino alla conquista normanna nell’XI secolo.
  • Gli abiti dei romani così come quelli dei loro legionari sembrano appartenere più alla tarda età repubblicana e all’inizio dell’Impero che al periodo in questione, infatti i vestiti e le panoplie dell’epoca erano molto diversi. Alla fine del film, durante la battaglia, i legionari marciano innalzando stendardo che raffigura un drago, tali stendardi esistevano, ma erano usati dalla cavalleria.
  • L’arte marziale usata da Mira, il Kalaripayatu, stava appena iniziando a svilupparsi nel V secolo, anche se la tradizione locale è anteriore al I secolo a.C. C. Sia nell’impero romano che nella tradizione indiana si ricordano alcuni guerrieri di sesso femminile; quindi, sebbene sia improbabile, non è impossibile che ci fosse una donna combattente nell’esercito bizantino.
  • Si afferma che Pendragon significherebbe “Figlio del Drago” quando in realtà vuol dire “Grande Drago”, cioè capo supremo, poiché “pen» in gallese significa «alto» o «eminente».

(Dalla versione spagnola di Wikipedia)

Ok, Roma è caduta. E ora? Che fine hanno fatto tutte le province?

La storia delle ex province dell’impero romano e dell’Europa occidentale dopo il quinto secolo, è assai vasta e complicata e non è possibile trattarla in questa sede. Ma in sintesi si può dire che gli ex domini romani si frammentarono in un’enorme varietà di regni, ducati e feudi, sebbene questo processo fosse già abbastanza avanzato nel 410 e ancora di più quando Roma cadde ufficialmente, nel 476. Ora questi vari stati dipendevano molto più dal prestigio dei loro singoli governanti, piuttosto che dalle istituzioni del governo imperiale, che peraltro quasi non esisteva più, e tutto ciò getterà le basi per quella che ad esempio è l’Europa di oggi: un insieme di diversi paesi con le proprie lingue, tradizioni e identità.

Italia:

Nel 536 i bizantini riconquistarono Roma, ma nel 568 l’Italia fu occupata dai popoli germanici longobardi. Nel 756 fu creato lo Stato Pontificio, governato dal papa a Roma. Nell’800 nacque il Sacro Romano Impero di Carlo Magno e l’Italia in parte era uno fra i suoi domini, ma nella penisola si svilupparono lotte di potere tra lo Stato Pontificio e le nuove città italiane indipendenti. Nel XV secolo l’Italia era composta dai regni rivali di Milano, Firenze, Venezia, Napoli e appunto dallo Stato Pontificio. Bisognerà attendere fino al 1870 perché l’Italia diventi di nuovo una nazione, per la prima volta dal 476.

Gran Bretagna:

la Gran Bretagna era stata abbandonata dal 410. La Chiesa mantenne un certo controllo fino al V secolo, ma tutte le città, i forti, le ville e le infrastrutture romane caddero costantemente in rovina. Fu solo dopo la conquista normanna nell’XI secolo che l’Inghilterra venne di nuovo governata come un’unica nazione. Il Galles fu aggiunto nel quattordicesimo secolo. Nel 1707, la Scozia fu unita all’Inghilterra e al Galles per creare la Gran Bretagna. Durante il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, a sua volta la Gran Bretagna stabilì un vasto impero, quasi sul modello di quello romano, il più grande della storia e tramontato solo nel XX secolo.

Gallia: 

le province romane della Gallia furono invase da tribù germaniche, inclusi i Franchi. Il re franco Clodoveo (481–511) fondò un regno franco cristiano con capitale a Parigi, ma questo andò presto in pezzi fino a quando Pipino il Breve (751–768) non lo riunificò e fondò così la dinastia carolingia. Suo figlio Carlo Magno poi creò il Sacro Romano Impero, comprendendo gran parte dell’Europa occidentale. Esso sarà al tempo stesso una rifondazione dell’antico impero romano d’Occidente e la base della futura Europa, come la conosciamo noi oggi. Anche il Regno dei Franchi, nella ex Gallia romana, diverrà poi Regno di Francia e poi semplicemente la nazione omonima odierna. Anche la Francia, in competizione con la Gran Bretagna, svilupperà uno dei più vasti imperi coloniali europei della storia, anche esso quasi un nuovo impero romano, rimasto in piedi fino al XX secolo.

Spagna e Portogallo:

nel V secolo, Visigoti e Vandali invasero la provincia romana della Hispania e crearono un regno visigoto. Anche questi due regni alla lunga, erediteranno la vocazione romana alla conquista, fondando, in particolar modo la Spagna, alcuni dei più vasti imperi coloniali della storia che hanno plasmato, nel bene e nel male, parte del continente americano così come lo conosciamo oggi.

Germania:

solo piccole parti della Germania non furono mai parte nell’impero romano. Fu Carlo Magno re dei Franchi a portare la Germania nel Sacro Romano Impero, il quale impero diverrà poi appunto Germanico, oltre che Sacro e Romano e influenzerà parecchio e a lungo la storia europea, così come la Germania stessa, una volta che sarà diventata una nazione.

L’Austria:

I Rugi furono una popolazione germanica, che nel VI secolo riuscì a fondare un regno nel Noricum, rinominando quale terra Rugiland. Essi sono all’origine di quella che grossomodo è oggi l’odierna Austria, la quale, lo ricordiamo, fu una superpotenza che raggiunse il suo apice tra il XIX e il XX secolo, anche essa a capo di un Impero, quello asburgico, che traeva ispirazione dall’impero romano, soprattutto quello d’Oriente.

L’Africa:

L’arrivo dei Visigoti in Spagna aveva costretto i Vandali e gli Alani a migrare più a sud, raggiungendo l’Africa del nord tra il 429 e il 430. Tra il 430 e il 442 conquistarono in successione la Mauretania, la Numidia, Cartagine e l’Africa Proconsolare. Agostino d’Ippona morì settantaseienne mentre essi cingevano d’assedio Ippona, la città di cui era vescovo (presso l’odierna Annaba in Algeria). Dall’Africa, grazie alla discreta capacità nell’organizzazione delle flotte, essi giunsero in Sardegna, Corsica, Sicilia e nelle Baleari.
Il regno dei Vandali sopravvisse fino al 534, quando venne riconquistato dai Bizantini in seguito alla guerra vandalica.

In Oriente: l’impero bizantino

Con l’Impero d’Occidente ormai caduto, l’Oriente ebbe praticamente mano libera. Gli storici lo chiamano d’ora in poi Impero bizantino, dal vecchio nome di Costantinopoli, Bisanzio, anche se questo nome non venivan nemmeno coniato nelle monete almeno fino al sedicesimo secolo d.C., decenni dopo che esso cessato di esistere. I Bizantini infatti chiamavano il loro regno Impero Romano perché, per loro, esso era né più né meno che una continuazione dell’antico Impero fondato da Augusto. In effetti, l’Oriente continuava a comportarsi come se Roma e l’Occidente fossero ancora una parte pienamente funzionante del mondo romano. L’imperatore d’Oriente riconobbe l’autorità del Papa sui territori occidentali, e persino il latino rimase per un po’ di tempo la lingua ufficiale del governo a Costantinopoli, nonostante il fatto che la maggior parte delle persone in Oriente in realtà parlasse, anche come lingua franca, il greco. La storia dell’Impero bizantino è una vasta epopea a sé stante. È una storia con i suoi alti e bassi, fatta di splendori, di conquiste e di decadenza. Infatti l’impero bizantino, finiti i tempi di gloria, trascorse anche lui una lunga e lenta agonia, perdendo territori e diventando via via sempre più debole. Tuttavia all’Impero Romano d’Oriente, ci vollero altri mille anni per uscire definitivamente dalla scena della Storia. Il resto fa parte della parabola dell’Impero Ottomano e la Grecia tornerà nella sfera di appartenenza europea soltanto nell’Ottocento.

Altri pretendenti:

Oltre all’Impero bizantino, unico e legittimo successore dell’Impero romano dopo la caduta della sua parte occidentale, altre tre entità statuali ne rivendicarono l’eredità. La prima, come abbiamo detto, fu l’Impero carolingio, che mirava esplicitamente a un grande progetto di ricostituzione dell’Impero in Occidente: simbolo di questa aspirazione fu il giorno di Natale dell’800 l’incoronazione a “Imperatore dei Romani” da parte del papa Leone III del re dei Franchi, Carlo Magno.
La seconda fu l’Impero ottomano: quando gli Ottomani, che basarono il loro Stato sul modello bizantino, conquistarono Costantinopoli nel 1453, Maometto II stabilì nella città la propria capitale e si proclamò Imperatore dei Romei cioé dei romani. Maometto II compì anche un tentativo di impossessarsi dell’Italia in modo da “riunificare l’impero”, ma gli eserciti papali e napoletani fermarono l’avanzata turca verso Roma a Otranto nel 1480.
Il terzo a proclamarsi erede dell’Impero dei Cesari fu l’Impero russo, che nel XVI secolo ribattezzò Mosca, centro del potere zarista, la “Terza Roma” (essendo Costantinopoli considerata la seconda).

Escludendo questi tre ultimi Stati, che sostennero di essere successori dell’Impero, e dando per vera la data tradizionale della fondazione di Roma, lo Stato romano durò dal 753 a.C. al 1461, anno in cui cadde l’Impero di Trebisonda (ultimo frammento dell’Impero bizantino sfuggito alla conquista ottomana nel 1453), per un totale di 2.214 anni.

L'Europa nel 476, dal Muir's Historical Atlas (1911)
L’Europa nel 476, dal Muir’s Historical Atlas (1911)

Tensioni religiose

La chiesa cristiana era appena nata e già coltivava in seno grandi divisioni, sin da quando Costantino I emanò il suo Editto di Milano, che imponeva la tolleranza religiosa all’Impero Romano, nel 313 e poi stabilì un unica dottrina cristiana, che anche per la nuova fede, cosa che almeno allora non era affatto una cosa così scontata. Teodorico il Grande, il re ariano d’Occidente, entro certi limiti, professò anche egli la tolleranza religiosa, ma la chiesa orientale invece fu assai più ferma, autoritaria e irremovibile in questioni di dottrina e culto.

(riadattamento da Storia Romana di Iginio Gentile, 1885 e da Wikipedia con aggiunte e integrazioni)

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Zenone, imperatore romano d'Oriente, negoziò con gli Ostrogoti invasori, che si erano stabiliti in Moesia, convincendo il re gotico Teodorico a partire per l'Italia come magister militum per Italiam ("comandante in capo per l'Italia") per deporre Odoacre. Spingendo Teodorico a conquistare l'Italia, Zenone liberò l'Impero d'Oriente da un subordinato indisciplinato (Odoacre) e ne allontanò un altro (Teodorico) dal cuore dell'impero. Dopo la sconfitta di Odoacre nel 493, Teodorico governò l'Italia de facto, anche se non fu mai riconosciuto dagli imperatori orientali come "re" (rex). Nel 491 Anastasio I, un anziano funzionario di origine romana, divenne imperatore, ma solo nel 497 le forze di Anastasio riuscirono a vincere la resistenza degli Isauri. Anastasio si rivelò un energico riformatore e un abile amministratore. Introdusse un nuovo sistema di coniazione del follis di rame, la moneta utilizzata nella maggior parte delle transazioni quotidiane. Riformò anche il sistema fiscale e abolì definitivamente la tassa sul crisargiro. Alla morte di Anastasio, nel 518, il tesoro dello Stato conteneva l'enorme somma di 150.000 kg d'oro (circa 8,3 miliardi di euro di oggi). La dinastia di Giustiniano fu fondata da Giustino I, che, pur essendo analfabeta, scalò i ranghi dell'esercito bizantino fino a diventare imperatore nel 518. Gli succedette il nipote Giustiniano I nel 527, che potrebbe aver esercitato un controllo efficace già durante il regno di Giustino. Una delle figure più importanti della tarda antichità e forse l'ultimo imperatore romano a parlare il latino come prima lingua, il governo di Giustiniano costituisce un'epoca distinta, segnata dall'ambiziosa ma solo in parte realizzata renovatio imperii, o "restaurazione dell'impero". La moglie di Giustiniano, Teodora, fu particolarmente influente. Nel 529, Giustiniano nominò una commissione di dieci persone presieduta da Giovanni il Cappadociano per rivedere il diritto romano e creare una nuova codifica delle leggi e degli estratti dei giuristi, nota come "Corpus Juris Civilis", o Codice Giustiniano. Nel 534 il Corpus fu aggiornato e, insieme alle leggi promulgate da Giustiniano dopo il 534, costituì il sistema di diritto utilizzato per la maggior parte dell'epoca bizantina. Il Corpus costituisce la base del diritto civile di molti Stati moderni.

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