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L’ASCESA DI ZEUS – 5 – I MASTINI DELLA GUERRA

< – Nelle puntate precedenti:
Metis appare per la prima volta in Esiodo, che la descrive come “che colei che sa più di qualsiasi dio o uomo mortale”. È la prima moglie di Zeus. Secondo lo Pseudo-Apollodoro, il giovane Zeus chiede aiuto a lei nella sua lotta contro Crono. L’Oceanina consiglia al giovane dio di fa bere al padre un preparato che lo costringa a rigurgitare i figli che aveva ingoiato. Diventa quindi la prima moglie di Zeus, dopo aver cercato di resistergli trasformandosi costantemente per sfuggirgli.

La ribellione di Zeus

Pietro Muttoni - Crono che divora il figlio, 1678
Pietro Muttoni – Crono che divora il figlio, 1678

Allora Zeus si alzò e salì nelle sale del palazzo celeste; lì trovò Crono che banchettava e beveva nettare color miele, il vino degli dei. Crono gli chiese chi fosse e Zeus rispose: “Io sono Prometeo, figlio di Giapeto tuo fratello, che ti saluta da parte mia”. Allora Crono gli diede il benvenuto e i due bevvero e si divertirono insieme. Ma quando ebbero ben bevuto, Zeus mise l’erba della Terra nella coppa di suo padre, senza che lui se ne accorgesse. E Crono non tardò a inghiottirla che accadde un prodigio inimmaginabile: dalla sua gigantesca bocca uscì prima la pietra che Rea gli aveva donato (pietra che in seguito fu conservata come un pio monumento a Delfi) e poi i suoi due figli e le sue tre figlie, non più bambini ma adulti.

Allora Zeus si fece conoscere dai suoi fratelli, e i giovani dèi afferrarono il loro padre e lo legarono in catene. Ma l’antico Crono gridò aiuto ai suoi parenti Titani, con una voce simile al ruggito della tempesta; ed essi accorsero rapidamente con la loro forza; i giovani dèi non poterono resistere di fronte a loro, ma fuggirono dal cielo verso la cima nuvolosa del Monte Olimpo, quella grande vetta vestita di nevi eterne.

La guerra tra Titani e Olimpi

Jacob Jordaens - La caduta dei giganti, 1636-1638
Jacob Jordaens – La caduta dei giganti, 1636-1638

Perché ora c’era la guerra in cielo; per dieci anni gli Dei anziani combatterono contro gli Olimpi e nessuna delle due parti riuscì ad avere la meglio. Ma uno tra i Titani non volle combattere contro Zeus, perché, essendo dotato di saggezza e di preveggenza nei confronti di tutti gli dei, capì che il giorno di Crono doveva finire presto e il suo scettro passare a un altro. Si trattava di Prometeo, che Asia, figlia di Oceano, partorì a Giapeto, figlio della Terra. Avrebbe voluto dissuadere il padre e il fratello dall’imbracciare le armi per una causa persa e per amore di uno che, essendo egli stesso un usurpatore, doveva raccogliere quanto aveva seminato; ma essi non gli diedero retta, confidando nella loro gigantesca forza.

Lì risiedettero come in una cittadella e da lì Zeus e la famiglia di Zeus sono chiamati ancora oggi “gli Olimpi”.

I Titani occupavano il monte Otri a sud, e le ampie pianure della Tessaglia nel mezzo mostrano ancora le rocce frantumate e la superficie lacerata dalla lotta che ne seguì.

L’aiuto dei Centimani e dei Ciclopi

Briareo, uno dei tre Ecatonchiri, in un'incisione tedesca del 1795.
Briareo, uno dei tre Ecatonchiri, in un’incisione tedesca del 1795.

Alla fine Zeus chiese consiglio alla Madre Terra ed ella gli parlò di questo oracolo dalla grotta che si trova nella rocciosa Pito: “Chi vincerà in questa lotta, libererà i prigionieri nel Tartaro”. La Terra, infatti, da tempo serbava rancore a Crono, perché non aveva voluto liberare i Centomani e i Ciclopi da quell’abisso di tenebre; perciò rivelò volentieri a Zeus il segreto della vittoria. Ma egli non sapeva nulla di quei giganti e della loro sorte, né tanto meno del nome del Tartaro, che nessuno tra gli dèi che abitano il cielo pronuncerebbe mai per timore; perciò i discorsi della Terra gli erano oscuri ed era molto scoraggiato. Allora Prometeo, sapendo ciò che era accaduto, si recò da Zeus sull’Olimpo e disse: “Figlio di Crono, anche se non combatterò contro i miei parenti, non combatterò contro di te, perché sarebbe un’inutile follia, visto che le Parche ti vogliono signore di tutti. Sia pace tra me e te e io interpreterò l’oracolo che la Terra ti ha dato”.

Zeus lo ascoltò volentieri e disse: “Per questa buona azione, considerami sempre tuo debitore e amico”.

“E subito i due attraversarono gli Inferi fino alle porte del Tartaro non ancora colmo delle anime dei morti, dove Zeus, con l’aiuto del Titano, uccise il serpente Campé, il loro orribile guardiano, e liberò i prigionieri”.

Il capo degli dèi più giovani rimase stupito alla vista di questi mostruosi primi figli della Terra. Ognuno dei tre Centimani, Briareo, Cotto e Gige, aveva cento braccia che si muovevano dalle loro spalle, e non tolleravano che qualcuno si avvicinasse, mentre al di sopra di questo spettacolo minaccioso si ergevano cinquanta teste. Quanto ai Ciclopi, ai Brontes, agli Steropes e agli Arges, essi assomigliavano ai Titani, salvo il fatto che ciascuno di essi aveva un unico occhio rotondo al centro della fronte. Fin dalla nascita avevano mostrato uno spirito così prepotente e una forza così spaventosa, scagliando come palle di cannone intere colline con le loro foreste, che persino Urano li aveva temuti e spinti nel Tartaro prima ancora che fossero cresciuti.

Zeus si rallegrò di questi potenti alleati. Ma, per quanto combattenti, il loro più grande aiuto non risiedeva nella loro forza, ma nella loro abilità. I Ciclopi, infatti, si costruirono una fucina nel cuore incandescente del monte Etna e lì forgiarono per i loro liberatori dei doni che solo loro sapevano fare. A Poseidone diedero il suo tridente con le punte di adamante, ad Ade un cappuccio di tenebra che rendeva invisibili agli dei e agli uomini chi lo indossava, mentre per Zeus stesso forgiarono le armi più potenti di tutte: le folgori e i fulmini.

Allora Zeus mise davanti a loro tutto il nettare e l’ambrosia degli dei e si rivolse a loro:

“Ascoltatemi, illustri figli della Terra e del Cielo, affinché io possa dire ciò che lo spirito che ho in seno mi spinge a dire. Per molto tempo abbiamo combattuto per la supremazia, gli dèi Titani e noi che siamo nati da Crono. Ora mostrate la vostra forza invincibile contro i Titani, in segno di gratitudine per la vostra liberazione alla luce dalla schiavitù delle tenebre oscure”.

L’incolpevole Cottus rispose: “Eccellente Signore, sappiamo che la tua saggezza è altissima, e la tua mente, e che sei stato per gli immortali un evitatore di distruzione. Per questo motivo ora proteggeremo il tuo dominio in un conflitto durissimo, combattendo strenuamente contro i Titani”.

La vittoria di Zeus

Großjena, casa vinicola, Max Klinger, titani
Großjena, casa vinicola, Max Klinger, titani

Tutti gli dèi applaudirono, sia le donne che gli uomini, e si precipitarono a combattere. I Titani, dal canto loro, non erano meno impazienti e, quando la battaglia si unì, il mare sconfinato riecheggiò terribilmente, la terra risuonò e il cielo gemette nel suo scuotersi, il vasto Olimpo ondeggiò sulla sua base e persino nel torbido Tartaro giunse il suono vuoto dei piedi e dei colpi di battaglia. E quando le due parti si unirono, il loro grande grido di guerra giunse fino al cielo stellato.

A questo punto Zeus sciolse la sua furia e le saette del tuono e del fulmine uscirono così veloci e feroci dalla sua mano possente che la terra si schiantò in una conflagrazione e le foreste crepitarono di fuoco; i corsi d’acqua dell’oceano cominciarono a ribollire, mentre il vapore avvolgeva i Titani e i lampi incessanti e abbaglianti privavano i loro occhi della vista.

Un calore spaventoso si diffondeva ovunque e sembrava che la terra e il cielo si scontrassero e cadessero in rovina. Allo stesso tempo, i venti spargevano fumo, grida di battaglia e schianti di proiettili, mentre le Cento Mani, insaziabili nella guerra, avanzavano scagliando trecento enormi rocce alla volta contro il nemico.

Di fronte a questa combinazione di terrori nemmeno i Titani poterono resistere. Furono sbalzati dai loro bastioni e caddero come stelle cadenti per nove giorni e nove notti sulla terra, e poi ancora per nove giorni e nove notti nel Tartaro. Qui furono legati e gettati in quell’abisso lugubre, dietro un triplice muro di bronzo costruito da Poseidone, attorno al quale la notte è riversata in tre file. E le Cento mani furono poste a guardia di loro.

Crono e pochi altri fuggirono a Nord e lì si rifugiarono per un po’ di tempo nelle caverne delle colline, al riparo dalle saette di Zeus. Ma arrivarono agli Olimpi due potenti Forme gemelle, Forza e Potenza, seguite dalla loro sorella, la bellissima Vittoria (dalle cui spalle si agitavano grandi ali d’aquila) – tutti figli di Stige; e questi due illustri annunciarono a Zeus che d’ora in poi sarebbero stati suoi servitori e che la loro sorella, Vittoria, li avrebbe sempre seguiti.

La divisione dei regni

Frammento dell'affresco del soffitto Galleria Borghese, Giovanni Lanfranco
Frammento dell’affresco del soffitto Galleria Borghese, Giovanni Lanfranco

Così, con questi ministri, Zeus si rimise in cammino, mentre il resto dei Titani fuggì verso occidente, oltre i limiti della terra. Ma l’enorme Atlante, fratello di Prometeo, fu superato e Zeus lo fece stazionare sull’orlo della terra, davanti alle Esperidi dalla voce chiara, condannandolo a portare per sempre sulle sue spalle il peso dell’immenso cielo.

Ottenuta così la vittoria, Zeus diede ad Ade il dominio sugli Inferi, a Poseidone il Mare, e si prese il regno dell’Etere e della Terra, ricompensando tutti coloro che lo avevano assistito e onorando soprattutto Stige, madre della Forza, della Potenza e della Vittoria, cosicché d’ora in poi il giuramento più sacro e inviolabile per un immortale fu quello di giurare su Stige.

La vendetta di Gea

Scultura di Gea, Parc de Laurenzanne, Gradignan
Scultura di Gea, Parc de Laurenzanne, Gradignan

Madre Terra era tutt’altro che soddisfatta di questo risultato. I suoi primogeniti imprigionati erano stati liberati solo perché gli altri bellissimi figli e figlie di Titano avevano preso posto nel Tartaro. Per vendicarsi, fece nascere una nidiata di Giganti per combattere con i giovani dei. Si trattava di creature enormi e invincibili, con volti orribili e lunghi, folti e opachi capelli che pendevano dalla testa e dal mento; al posto dei piedi avevano squamose code di drago. Il loro luogo di nascita era Phlegra o Pallene. I più temibili tra loro erano Porfirio e Alcioneo. Quest’ultimo era immortale finché combatteva sulla stessa parte della terra in cui era nato, e si distinse presto per aver portato via il bestiame del Sole e della Luna.

(Libera traduzione dall’inglese da A Book of Giants, Henry Wysham Lanier, 1922)

Nel prossimo episodio: – >
I Giganti, figli di Gea (Terra) e Urano (Cielo), tentarono di scalare il cielo e rovesciare gli dei dell’Olimpo. L’oracolo rivelò che solo un mortale poteva aiutarli, e Zeus reclutò Eracle per la battaglia. La battaglia fu epica e durò un giorno intero. I Giganti scagliarono rocce e alberi contro gli dei, che risposero con fulmini, frecce e il loro potere divino. Eracle uccise Alcioneo trafiggendolo con una freccia e trascinandolo fuori dalla sua città natale. Porfirione fu sconfitto da Zeus ed Eracle insieme. Efialte fu accecato da Apollo e Eracle. Encelado fu schiacciato sotto l’Etna da Atena. Pallade fu uccisa e scuoiata da Atena, che indossò la sua pelle come armatura. Tifone, il mostro più terribile generato da Gea, combatté contro Zeus e lo imprigionò. Ermes rubò i tendini di Zeus e li restituì, permettendo al dio di sconfiggere Tifone e seppellirlo sotto l’Etna. La vittoria di Zeus consolidò il suo dominio supremo su cielo, terra e inferi.

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