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GLAUCO, IL MORTALE CHE DIVENNE UN DIO

Glauco, nella mitologia greca, era una divinità marina le cui origini differiscono in diverse fonti.

Si dice che Glauco sia diventato una dio nel seguente modo. Un giorno, mentre pescava con la lenza, osservò che il pesce che aveva catturato e gettato sulla riva, subito mordicchiava l’erba e poi tornava in acqua. La sua curiosità si accese subito alla vista di questo fenomeno, e procedette a soddisfarla prendendo alcuni steli e assaggiandoli. Non appena fatto ciò, obbedendo ad un impulso irresistibile, si precipitò negli abissi e divenne un dio del mare.

Come la maggior parte delle divinità marine, era dotato di un potere profetico, e ogni anno visitava tutte le isole e le coste con uno stuolo di mostri marini, predicendo ogni tipo di male. Perciò i pescatori temevano il suo arrivo e cercavano, con la preghiera e il digiuno, di evitare le disgrazie che profetizzava. Viene spesso rappresentato mentre galleggia sui flutti, con il corpo coperto di cozze, alghe e conchiglie, con la barba folta e i lunghi capelli fluenti, mentre si lamenta amaramente della sua immortalità.

Secondo Gli Etolici, una storia in prosa dell’Etolia del poeta Nicandro di Colofone, fu Glauco ad insegnare ad Apollo a compiere gli oracoli. Alcuni versi giambici di Escrione di Samo parlano di Glauco: «Glauco il marinaio si innamorò di Idne, figlia di Scillo, il nuotatore di Sicione .» citato nel Libro VII dei Deipnosofisti di Ateneo (da notare che Scillo, che è un uomo, non è da confondersi con Scilla, la ninfa pur amata anche lei da Glauco).

Glauco

La versione di Ovidio

Secondo il poeta Ovidio, Glauco sarebbe nato mortale, vivendo come un pescatore. Nei suoi versi, egli per primo ci rivela la versione della storia in cui si parla della  scoperta accidentale dell’erba magica da parte di Glauco stesso, erba in grado di riportare in vita il pesce che aveva catturato e della sua decisione di provarla anche su di sé. Dopo averla mangiata, anche Glauco si tuffò quindi in acqua, seguendo l’esempio del pesce che rinasceva. Fu accolto dalle divinità marine e, con il consenso degli dei Oceano e Teti, venne purificato da tutto ciò che in lui era mortale, divenendo quindi immortale e mutando la sua forma: i suoi capelli divennero verdi come il mare, le sue spalle si allargarono e le sue gambe furono trasformate in una coda di pesce

L’amore per Scilla

Si dice che vivesse a Delo, circondato dalle Nereidi. Innamorato della ninfa Scilla, che lo rifiuta, chiede alla maga Circe una pozione d’amore. Tuttavia ella, a sua volta innamorata non corrisposta del dio e gelosa, gli dà invece un veleno che trasforma Scilla in un mostro marino. Archiloco si rivolge a lui nei versi riportati da Eraclide Pontico:

“Vedi Glauco le onde che già agitano i mari:
Vedi le alte cime di Gire di fitte nubi avvolte,
presagio fin troppo certo delle più spaventose tempeste”

Nonostante tutto, una divinità

In Apollonio Rodio, Glauco appare agli Argonauti. Nell’Oreste di Euripide, contrariamente a quanto riportato nell’Odissea, dove Omero parla di Proteo,  è Glauco, apparso a Menelao, a rivelare a costui l’uccisione del fratello Agamennone per mano di Clitennestra.

In Platone e in Rousseau

Nella Repubblica di Platone, che analizza l’anima e teorizza la metempsicosi, Glauco rappresenta l’anima, considerata nel suo stato di degrado per l’unione con il corpo, imprigionata per via della sua permanenza in esso.

Jean-Jacques Rousseau riprende questa immagine platonica nel suo Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini: la statua di Glauco rimasta in fondo agli abissi, è ricoperta interamente da incrostazioni, e il suo aspetto non è più né divino né umano, ma mostruoso. Così l’uomo, evolutosi con la civiltà, le scienze e le arti, si è soltanto ricoperto di detriti che ne hanno corrotto l’intima natura.

(Libera rielaborazione  e adattamento da E. M. Berens. “The Myths and Legends of Ancient Greece and Rome”, 1880 con aggiunte e integrazioni)

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