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GLI SCHIAVI

Schiavi in venditaLa schiavitù era radicata nel sistema economico e sociale di tutto il mondo antico, dunque anche a Roma.

Con l’espandersi delle conquiste e poi dell’Impero, man mano cresceva anche la moltitudine degli schiavi che affluivano in Italia, e la società e l’economia ne diventavano sempre più dipendenti.

Le guerre non erano l’unico modo per procurarsi schiavi. Davanti al Tempio di Pietà (Aedes Pietatis) c’era la Columna Lactaria, dove venivano deposti i bambini abbandonati perché qualcuno li adottasse. Questo non accadde mai, ma venivano piuttosto prelevati da persone che li trasformavano in schiavi se erano uomini e in prostitute se erano donne.

Tuttavia la stragrande maggioranza degli schiavi erano tutti prigionieri raccolti durante le campagne militari. La grande rivolta degli schiavi, capeggiata dal gladiatore trace Spartaco, avvenuta tra il 73 e il 71 a.C., che aveva causato grandi devastazioni nell’Italia meridionale, mise al centro dell’attenzione della politica del tempo il problema delle condizione di vita della popolazione servile.

Il Senato arrivò quasi alla decisione di obbligare gli schiavi a indossare degli abiti distintivi della loro condizione, ma poi non se ne fece nulla, anche perché a conti fatti non era proprio una buona idea: in questo modo anche gli schiavi stessi si sarebbero riconosciuti fra di loro e si sarebbero resi conto di quanto grande fosse il loro numero. La popolazione di estrazione o di origine servile non era costituita solo dagli schiavi veri e propri, sebbene questi fossero la maggioranza, ma anche dai liberti – gli ex schiavi liberati dai loro padroni.

Gli Schiavi

Dopo aver conquistato un regno o un territorio, i romani quasi sempre ne riducevano gli abitanti in schiavitù. La stessa cosa avveniva quando una loro provincia si ribellava e loro intervenivano a sedare la rivolta. I figli degli schiavi diventavano di fatto schiavi a loro volta. Tra gli schiavi c’erano anche i criminali sfuggiti al boia.

Gli schiavi venivano venduti all’asta pubblica o talvolta nei negozi, o tramite vendita privata per gli schiavi più preziosi. La tratta degli schiavi era controllata da funzionari delle tasse romani chiamati questori.

A volte gli schiavi venivano esposti su supporti rotanti, per essere meglio osservati e accanto a ogni schiavo in vendita veniva appesauna specie di targa con la sua origine, salute, carattere, intelligenza, istruzione e altre informazioni rilevanti per gli acquirenti. Per meglio apprezzarne pregi e difetti venivano sempre esposti nudi. I prezzi variavano con l’età e la qualità, quindi i bambini ridotti in schiavitù erano più economici degli adulti. A titolo di garanzia, il commerciante era tenuto a sostituirlo con un nuovo schiavo entro sei mesi dall’acquisto, se lo schiavo avesse avuto difetti visibili all’atto della vendita.

Tiberio Sempronio Gracco ( 220–154 a.C.), governatore romano in Spagna dal 180 al 179 a.C., padre e omonimo del celebre tribuno, represse una grande rivolta avvenuta in Sardegna nel 177 a.C. Dopo aver domato questa ribellione, il mercato romano fu letteralmente invaso da una grande quantità di prigionieri di guerra sardi a buon mercato (tra gli uccisi e i prigionieri, si calcolano circa ottantamila uomini). Sardi venales, ‘Sardi in vendita’, gridavano i battitori delle aste e delle vendite, e la formula divenne a lungo un vero e proprio slogan, un’espressione proverbiale, di richiamo e di marketing per attirare i clienti – un po’ come il nostro ‘Saldi’, ‘Svuoto tutto’, ‘Grande Liquidazione’, ‘Sconti’, ‘Gran risparmio’, ‘Convenienza e qualità’, ‘Vasto assortimento’, ecc. L’espressione, tramandataci da Cicerone, rimase ad indicare poi con disprezzo la popolazione sarda in generale.

Prigionieri a Roma, Charles W. Bartlett

La Vita di uno schiavo

La vita da schiavo dipendeva fortemente dal tipo generale di lavoro assegnatogli, di cui c’era una grande varietà. Per gli schiavi, l’assegnazione delle miniere era spesso una lenta condanna a morte.

Gli schiavi impiegati nell’agricoltura generalmente se la passavano meglio, mentre gli schiavi domestici delle famiglie benestanti di Roma (famiglia urbana) godevano probabilmente del più alto tenore di vita degli schiavi romani, insieme agli schiavi di proprietà pubblica (servus publicus) che non erano soggetti ai capricci di un unico padrone.

Sebbene il suo vitto e alloggio fossero notoriamente di qualità inferiore a quelli dei membri liberi della famiglia, potrebbe essere paragonabile a quello di molti romani liberi ma poveri (ma se i loro padroni erano avari, potevano vivere davvero in una condizione miserabile), ma esistevano anche schiavi colti e raffinati, insegnanti, artigiani o intellettuali di proprietà dei nobili e dei ricchi, che spesso vivevano in condizioni migliori.  Plinio il Giovane ci racconta di piacevoli passeggiate e conversazioni con i suoi schiavi più colti. Gli schiavi nati in una casa erano considerati parte di essa.

Si potevano vedere schiavi domestici lavorare come parrucchieri, maggiordomi, cuochi, camerieri, infermieri, insegnanti, segretari e sarti. Gli schiavi con più istruzione e intelligenza potevano lavorare in professioni come la contabilità, l’istruzione e la medicina.

I matrimoni di schiavi non erano legalmente riconosciuti, quindi eventuali coppie potevano essere vendute e separate se il loro padrone lo aveva deciso.

Le schiave subivano spesso abusi sessuali dai loro proprietari o dai loro custodi, ma potevano anche essere liberate e sposate dai loro padroni.

Dato che il padrone aveva diritto di vita e di morte su di essi e loro erano alla stregua di una semplice proprietà, le punizioni inflitte agli schiavi erano spesso arbitrarie e a discrezione dell’umore dei signori, ma i romani più intelligenti e lungimiranti, si rendevano conto che trattare bene gli schiavi riduceva il rischio che essi si ribellassero contro i loro proprietari.

Aulus Larcius Macedo fu pretore intorno all’inizio del II secolo dC, ma suo padre era un liberto, ed egli tuttavia voleva dimenticare le sue umili origini, ostentando la propria condizione di privilegiato, così come trattava con crudeltà i suoi stessi schiavi. Sempre Plinio il Giovane ci racconta che un giorno, mentre faceva il bagno nella sua villa, alcuni dei suoi servi lo assalirono, lo picchiarono e lo lasciarono a terra moribondo. Il pretore fu subito soccorso da altri schiavi più fedeli, e quando questi si fu rimesso, andò a caccia dei ribelli fuggiti. Ne catturò la maggior parte e li punì duramente. Tuttavia Macedo morì pochi giorni dopo.

Roma, MNR Terme di Diocleziano - collare in ferro con piastra in bronzo, IV-VI sec. d.C.. L'iscrizione invita a trattenere il portatore, se incontrato fuggiasco, e a riportarlo al proprietario Zonino che offrirà in cambio una ricompensa di una moneta d'oro (solidus).

Diritti degli schiavi

Gli schiavi godevano nonostante tutto di alcuni diritti, che furono progressivamente ampliati dagli imperatori. Era proibito uccidere uno schiavo o sbarazzarsene semplicemente perché era malato, così come ne era severamente punita la castrazione o l’abuso fisico in qualunque altro modo.

Antonino Pio (138–161 d.C.) dispose persino delle punizioni per l’assassino di uno schiavo. In Egitto nell’anno 182 d.C., durante i giorni di regno di Marco Aurelio, uno schiavo di 8 anni chiamato Epafrodito si precipitò sul tetto della casa del suo padrone, Plution per assistere al passaggio di una processione di ballerini, ma cadde giù per disgrazia e rimase ucciso.

Nonostante fosse solo uno schiavo, un documento su papiro che registra che Leonida, suocero del suo padrone, organizzò per il ragazzo una degna sepoltura. Gli schiavi, ovunque vivessero, non erano liberi. Durante il Dominato, la forma di governo stabilita da Diocleziano all’inizio del IV secolo, tuttavia molti cittadini comuni furono ridotti quasi in uno stato simile alla schiavitù, poiché furono obbligati a svolgere il proprio lavoro e a restare nella propria casa senza il diritto di trasferirsi o di cambiare professione.

Liberti

Gli schiavi nel mondo romano, avevano sempre la possibilità di poter essere liberati. I liberti, uomini e donne, erano numerosi in tutto l’Impero, a Roma, in Italia e nelle province, e distribuiti in tutti i ceti sociali. In quanto persone libere, avevano diritto ai privilegi della cittadinanza e salirono a posizioni di alto rango. L’imperatore Claudio, notoriamente, faceva affidamento sui liberti per gestire l’Impero per suo conto.

Liberare uno schiavo

Nell’antica Roma, liberto (libertus) era chiamato lo schiavo liberato che era legato al suo ex padrone, che si chiamava patrono (patronus), da un rispetto quasi filiale. Raggiungevano la libertà attraverso la manomissione, cioè l’emancipazione legale. Nonostante fossero considerati inferiori ai cittadini nati liberi, arrivarono ad avere una grande importanza nella società romana.

In un senso più generale, uno schiavo o una schiava a cui è stata data la libertà, rispetto al suo datore di lavoro, è chiamato liberto o liberta.

Uno schiavo poteva essere liberato dal suo padrone come disposizione testamentaria, era il modo più comune, oppure era il padrone stesso che lo conduceva davanti a un magistrato.

La manomissione può essere definita come un atto di disposizione volontaria mediante il quale il proprietario libera lo schiavo. Sebbene un liberto non potesse mai essere legalmente un ingenuus (cittadino romano nato libero e mai reso schiavo), la manomissione gli permetteva di raggiungere una certa importanza nella società romana.

La condizione che otteneva dipendeva da quella del suo padrone, e poteva diventare peregrino, cittadino latino o cittadino romano. Gli schiavi che avevano abilità e attitudini intellettuali speciali, mestieri legati alla finanza o alla produzione di manufatti avevano maggiori probabilità di essere manomessi dai loro padroni.

Durante la cerimonia, il magistrato toccava lo schiavo con una verga, non prima che il proprietario gli avesse dato un finto schiaffo, come a simboleggiare la sua ultima punizione ricevuta da schiavo. Gli schiavi potevano anche risparmiare del denaro dai guadagni o dai regali occasionali e acquistare la propria libertà, ma ciò di solito significava negoziare un accordo con il loro padrone per compensarlo del prezzo di acquisto originale.

Il termine latino per indicare la liberazione di uno schiavo è manumissio appunto, che deriva da due parole latine: manus (‘mano’) ed emittere (‘lasciare andare’). Anche se libero, un liberto aveva dei doveri di obbligo nei confronti del suo ex padrone e ciò significava diventare suo cliente e rimanere legato a lui, potendo continuare anche a svolgere il suo vecchio lavoro presso il suo vecchio padrone.

Il vantaggio per il vecchio padrone è che non doveva mantenere il suo ex schiavo, che ora doveva provvedere a sé stesso. In occasione di un caso giudiziario poi, il liberto poteva ora fungere da testimone per suo conto. Bisognava tuttavia versare una tassa riscossa per liberare ogni schiavo, pari al 5 per cento del suo valore.
I liberti di solito prendevano il nome del loro ex padrone.

Un centurione della XX legione chiamato Marcus Aufudius Maximus si recò presso il santuario e il centro termale di Bath in Gran Bretagna, dove due dei suoi liberti, Marcus Aufidius Lemnus e Aufdius Eutuches, posero delle dediche per conto suo, poiché egli ora era il loro patrono ed essi suoi clienti.

I liberti non potevano mai diventare cavalieri o raggiungere il rango senatoriale, per via del loro passato da schiavi. Tuttavia molti romani discendevano da schiavi, e lo furono anche alcuni imperatori.

L’imperatore Pertinace (193 d.C.), ad esempio, era figlio di un liberto chiamato Helvius Successus,che si era arricchito nel commercio del legname. Come mostra l’esempio di Pertinace, a differenza dei loro padri, i figli dei liberti potevano elevarsi come qualsiasi uomo di famiglia libera, senza alcun obbligo nei confronti degli antichi padroni del loro gentiore. Più frequentemente però, i liberti potevano aspirare di servire nell’amministrazione della loro città o al servizio dell’imperatore, o diventare modesti uomini d’affari come mercanti.

In caso di successo, un liberto poteva permettersi di diventare un membro dei seviri Augustales (il consiglio di sei sacerdoti del culto di Augusto nelle città municipali e nelle colonie dell’Impero), che era monopolizzato appunto dai liberti.

Lapide dedicata dal siriano Barates alla moglie, la liberta Regina dei Catuvellauni. British MuseumUna schiava di nome Regina 

Regina (nomel latino) era una schiava originaria della tribù britannica dei Catuvellauni. Era di proprietà di un siriano di nome Barates che si innamorò di lei, la liberò e si trasferì con lei ad Arbeia, nell’odierna South Shields, nel nord-est dell’Inghilterra. La donna morì a soli 30 anni, all’inizio del III secolo d.C. Barates fece per lei realizzare una costosa lapide. È in stile romano, con un’iscrizione latina, ma anche, cosa unica in Gran Bretagna, una seconda iscrizione nella sua lingua, l’aramaico, che recita “Regina, liberta di Barates, ahimè”. La lapide è conservata nel British Museum ancora oggi.


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