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IL CULTO DEGLI DEI IN GRECIA

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Frontone orientale del Partenone (ricostruzione), Atene, metà del V sec. a.C.
Frontone orientale del Partenone (ricostruzione), Atene, metà del V sec. a.C.

Per tutta la loro esistenza, i Greci erano impegnati in qualche rito o in una cerimonia religiosa. La vita sociale, gli affari, il matrimonio, la guerra e l’intrattenimento erano tutti legati a pratiche rituali associate all’una o all’altra divinità del Pantheon.

I rituali erano importanti perché permettevano ai Greci di chiedere agli dei di guidarli in qualche impresa o di salvarli da qualche calamità. Ogni rito comportava un accordo o un patto: aiuto divino in cambio di un sacrificio o un’offerta votiva.

I templi

da sinistra in senso orario: Il Partenone, Il Tholos di Delfi, l'Eretteo
da sinistra in senso orario: Il Partenone, Il Tholos di Delfi, l’Eretteo

In tempi molto remoti, i Greci non avevano santuari o luoghi dedicati al culto pubblico, ma svolgevano le loro devozioni sotto la vasta e sconfinata volta celeste, nel grande tempio della natura stessa. Credendo che le loro divinità si trovassero in trono sopra le nuvole, i pii adoratori cercavano naturalmente i punti più alti disponibili, per mettersi in comunione più stretta possibile con le loro divinità; quindi le cime delle alte montagne venivano scelte per scopi devozionali, e quanto più esaltato era il rango e l’importanza della divinità invocata, tanto più elevato era il luogo scelto per il suo culto. Ma la scomodità di questa modalità di culto suggerì gradualmente l’idea di erigere edifici che offrissero un riparo dall’inclemenza del tempo.

Queste strutture erano, in un primo momento, di forma semplicissima e prive di decorazioni; ma quando, con il progredire della civiltà, i Greci divennero un popolo ricco e potente, i templi vennero costruiti e abbelliti con il massimo splendore e magnificenza; il talento, la manodopera e la ricchezza vennero profusi senza risparmio per la loro erezione e decorazione; in effetti, la loro costruzione era così massiccia che alcuni di essi hanno resistito, in una certa misura, alle ingiurie del tempo. Soprattutto la città di Atene contiene numerosi resti di questi edifici dell’antichità. Sull’Acropoli si possono ancora ammirare, tra gli altri monumenti dell’arte antica, il tempio di Atena-Polia e quello di Teseo, quest’ultimo l’edificio antico più completo del mondo. Nell’isola di Delo si trovano anche le rovine dei templi di Apollo e Artemide, entrambi in uno stato di conservazione meraviglioso. Queste rovine sono molto preziose, essendo sufficientemente complete da permetterci di studiare, con il loro aiuto, la pianta e il carattere della struttura originale.

Ricostruzione del santuario di Asclepio ad Epidauro
Ricostruzione del santuario di Asclepio ad Epidauro

Tra i Lacedemoni, tuttavia, non troviamo vestigia di questi maestosi templi, poiché una legge di Licurgo imponeva loro di servire gli dei spendendo il meno possibile. Quando fu chiesto al grande legislatore il motivo di questa ingiunzione, egli rispose che i Lacedemoni, essendo una nazione povera, avrebbero potuto altrimenti astenersi del tutto dall’osservare i loro doveri religiosi, e aggiunse saggiamente che edifici magnifici e sacrifici costosi non erano così graditi agli dèi, quanto la vera pietà e la devozione sincera dei loro adoratori.

I templi più antichi a noi noti avevano un duplice scopo: non solo erano consacrati al servizio degli dei, ma erano allo stesso tempo venerabili monumenti in onore dei defunti. Così, ad esempio, il tempio di Pallade-Atene, nella torre della città di Larissa, fungeva da sepolcro di Acrisio, e l’Acropoli di Atene riceveva le ceneri di Cecrops, fondatore della città.

Un tempio era spesso dedicato a due o più divinità ed era sempre costruito nel modo ritenuto più gradito alle divinità a cui era consacrato; infatti, come gli alberi, gli uccelli e gli animali di ogni tipo erano ritenuti sacri a certe divinità, così quasi ogni dio aveva una forma di costruzione propria, ritenuta più gradita di qualsiasi altra. Così lo stile architettonico dorico era sacro a Zeus, Ares ed Eracle; lo ionico ad Apollo, Artemide e Dioniso; il corinzio a Estia.

Nel portico del tempio si trovava un vaso di pietra o di ottone, contenente acqua santa (consacrata inserendovi una torcia accesa, presa dall’altare), con cui venivano innaffiati tutti coloro che erano ammessi a partecipare ai sacrifici. Nel recesso più interno del santuario si trovava il luogo santissimo, nel quale potevano entrare solo i sacerdoti.

I templi in campagna erano solitamente circondati da boschetti di alberi. La solitudine di questi ritiri ombrosi tendeva naturalmente a ispirare ai fedeli timore e riverenza, a cui si aggiungeva la deliziosa ombra e il fresco offerti da alberi ad alto fogliame, particolarmente graditi nei paesi caldi. L’usanza di costruire templi nei boschetti divenne così diffusa che tutti i luoghi dedicati a scopi sacri, anche quando non esistevano alberi, venivano chiamati boschetti. Che questa pratica debba avere un’antichità molto remota è dimostrato dall’ingiunzione biblica, che ha per oggetto la separazione degli ebrei da tutte le pratiche idolatriche: “Non pianterai un boschetto di alberi vicino all’altare del Signore tuo Dio”.

Un dio per ogni luogo

La valle dei templi in Sicilia
La valle dei templi in Sicilia

Un santuario pubblico era luogo sacro separato dal mondo urbano, un tempio dedicato al culto di un dio o di un eroe divinizzato. Ognuno di questi santuari era dedicato a una particolare divinità:

  • Il santuario di Zeus a Dodona è uno dei più antichi d’Europa. Fu fondato nel II millennio a.C. e fu un importante centro religioso per i Greci. I sacerdoti erano chiamati i Selli, e le sacerdotesse, le Peleiades (“Colombe”) Il santuario era famoso per il suo oracolo, che si diceva fosse ispirato dal suono del vento che soffiava attraverso le querce del tempio.
  • Partenone ad Atene: Situato sull’Acropoli, il Partenone è uno dei templi greci più famosi e iconici. Costruito tra il 447 e il 438 a.C., era dedicato ad Atena Parthenos, la dea della saggezza e della guerra difensiva.
  • Tempio di Apollo a Delfi: Situato a Delfi, questo tempio era dedicato a Apollo, il dio della musica, della poesia e della profezia. Delfi era considerata un importante centro oracolare, dove si credeva che Apollo fornisse le sue profezie attraverso una sacerdotessa nota come Pitia.
  • Tempio di Zeus ad Olimpia: Costruito nel V secolo a.C., questo tempio era dedicato a Zeus, il re degli dei. Conteneva una delle sette meraviglie del mondo antico, una statua colossale di Zeus seduto sul suo trono.
  • Tempio di Artemide a Efeso: Situato ad Efeso, questo tempio era dedicato ad Artemide, la dea della caccia e della natura selvaggia. Era uno dei templi greci più grandi e maestosi, noto per la sua bellezza e magnificenza.
  • Santuario di Delfi: Oltre al tempio di Apollo, il santuario di Delfi includeva anche teatri, monumenti e strutture religiose associate all’oracolo. Era uno dei luoghi più importanti per le consultazioni oracolari e per i giochi pitici. La Pizia (sacerdotessa di Apollo) stava seduta su un tripode sull’orlo di un baratro.
  • Tempio di Atena Nike ad Atene: Questo piccolo tempio era situato sull’Acropoli ed era dedicato alla vittoria della dea Atena Nike. È noto per il suo grazioso stile architettonico e per le raffigurazioni di vittorie alate sulla facciata.
  • Santuario di Olimpia: Oltre al tempio di Zeus, Olimpia ospitava numerosi edifici e monumenti legati ai giochi olimpici, tra cui stadi, palestre e alloggi per atleti e spettatori.
  • Tempio di Poseidone a Capo Sunio: Situato sulla punta meridionale dell’Attica, questo tempio era dedicato a Poseidone, il dio del mare. Offriva una vista panoramica sul mare Egeo ed era considerato un luogo di protezione per i marinai.
  • Il Santuario di Asclepio ad Epidauro, era dedicato al dio della medicina e della guarigione Il tempio principale e il famoso Teatro di Epidauro erano i punti centrali del santuario. La pratica dell’incubazione, dormire nel tempio per ricevere visioni guaritrici, era comune. Questo luogo sacro rappresentava la connessione tra religione e medicina nell’Antica Grecia e l’importanza della salute per la cultura dell’epoca.
  • Il Santuario di Demetra. Si trovava nel centro della città di Eleusi, nell’Attica. Dedicato a Demetra, la dea dell’agricoltura e della fertilità, e alla sua figlia Persefone. Capo supremo del sacerdozio di Eleusi, era lo Ierofante. Il santuario fu fondato nell’XI secolo a.C. e divenne uno dei più importanti centri religiosi della Grecia antica. I misteri eleusini, i culti segreti di Demetra e Persefone, si svolgevano qui ogni anno. I misteri attiravano pellegrini da tutta la Grecia e da oltremare.

  • Il Tempio di Eretteo è un tempio situato sull’Acropoli di Atene. Fu costruito tra il 421 e il 406 a.C. in stile ionico e dedicato a Atena, Poseidone ed Eretteo. Il tempio è noto per la sua ricca decorazione scultorea, che include le famose Cariatidi, sei colonne femminili che sorreggono il portico sud del tempio. Il tempio è anche famoso per il suo design insolito, che è dovuto al fatto che è stato costruito su un terreno irregolare.

Statue di antiche divinità greche all'Accademia di Atene
Statue di antiche divinità greche all’Accademia di Atene

Templi e statue

Molti dei riti della religione greca si svolgevano all’interno dei templi. All’interno di ogni tempio si trovava una statua che rappresentava un particolare dio. Gli antichi greci credevano nella presenza reale del dio nei templi. Se diversi templi erano dedicati alla stessa divinità, essi credevano che questa visitasse i loro templi nello stesso momento in ogni periodo dell’anno, o almeno che fosse in grado di osservare ciò che accadeva in più templi contemporaneamente.

La convinzione che gli dei fossero presenti nei templi significa che gli antichi greci adoravano la statua del dio nel tempio – una pratica religiosa che oggi definiremmo idolatria. D’altra parte, le persone di fede cattolica, per esempio, non adorano una statua, ma ciò che la statua rappresenta.

Come parte del loro culto, i Greci facevano piccole offerte agli dei e li pregavano. A volte avvolgevano la statua con bende note come stemmata. Le statue finivano per essere ben coperte, vista la frequenza con cui questi templi venivano visitati.

Fino all’epoca di Cecrope, i Greci veneravano i loro dei senza alcuna rappresentazione visibile. Le più antiche consistevano in blocchi quadrati di pietra su cui era inciso il nome della divinità che si intendeva rappresentare. I primi tentativi di scultura erano dei rozzi ceppi, con una testa a un’estremità e un tronco informe all’altra, che si assottigliava leggermente fino ai piedi, che però non erano divisi, non essendo le membra in alcun modo definite. Ma gli artisti dei tempi successivi dedicarono tutto il loro genio alla realizzazione dei più alti ideali delle loro divinità, alcuni dei quali si sono conservati fino ad oggi e sono considerati esempi dell’arte più pura.

Su un piedistallo al centro dell’edificio si trovava la statua della divinità a cui il tempio era dedicato, circondata da immagini di altre divinità, tutte recintate.

Gli altari

Altari greci, tripode, urna funeraria e tomba
Altari greci, tripode, urna funeraria e tomba

L’altare di un tempio greco, che si trovava al centro dell’edificio e di fronte alla statua della divinità che lo presiedeva, era generalmente di forma circolare e costruito in pietra. Era consuetudine incidervi il nome o il simbolo distintivo della divinità a cui era dedicato; era ritenuto così sacro che se un malfattore vi si rifugiava, la sua vita era al sicuro dai suoi inseguitori ed era considerato uno dei più grandi atti di sacrilegio costringerlo a lasciare questo asilo.

Gli altari più antichi erano ornati di corna, che nei tempi passati erano emblemi di potere e dignità, poiché la ricchezza, e di conseguenza l’importanza, consisteva nella maggior parte delle nazioni primitive in greggi e mandrie.

Oltre a quelli eretti nei luoghi di culto pubblico, gli altari venivano spesso innalzati nei boschetti, sulle strade o nei mercati delle città.

Gli dèi del mondo inferiore non avevano alcun altare: venivano scavate fosse o trincee per ricevere il sangue dei sacrifici che venivano loro offerti.

Donne che si prendono cura di un toro sacrificale
Donne che si prendono cura di un toro sacrificale

Il tempo per i culti

Il calendario greco era ricco di date e feste ufficiali. Non esisteva un giorno sacro in particolare, ma ogni festa era un pretesto per le pratiche religiose.

Il culto religioso poteva quindi svolgersi in qualsiasi momento, secondo i desideri dell’individuo. Le persone potevano praticare il culto da sole o in famiglia: un sacerdote del culto era sempre presente nel tempio per supervisionare le varie cerimonie. Al tempio potevano partecipare uomini, donne e bambini. Ma sembra che il culto fosse praticato soprattutto in casa.

Gli dei della casa

La sola casa greca, l’oikos, era già un luogo sacro con riti e requisiti propri. Il dio patrono era Zeus Herkeios, Zeus il guardiano. Era anche responsabile dell’accoglienza degli ospiti/stranieri: la xenofilia.

La casa stessa era dedicata alla dea del focolare, Hestia. In ogni casa, un fuoco ardeva permanentemente in onore della dea, proprio al centro della casa. Questo era l’epicentro dove venivano serviti i pasti e ricevuti gli ospiti.

Anche gli antichi greci sceglievano le proprie divinità per proteggere le loro case. Ponevano le immagini degli dei sui cancelli, sulle porte d’ingresso e talvolta anche all’interno della casa. Si dice che Apollo ed Ermes fossero i più popolari.

Sacrifici: doni agli dei

 

Non c’è dubbio che il sentimento di gratitudine verso gli dei per la loro protezione e l’abbondanza con cui si credeva che benedicessero l’umanità, abbia indotto gli uomini di tutte le nazioni e di tutti i paesi a sentire il desiderio di sacrificare alle loro divinità una parte dei doni così generosamente elargiti.

Tra i Greci i sacrifici erano di vario tipo. Consistevano in offerte libere, offerte propiziatorie, ecc. Le offerte gratuite erano un riconoscimento grato per i benefici ricevuti e di solito consistevano nelle primizie dei campi o nel meglio delle greggi e degli armenti, che dovevano essere senza macchia o difetto. Le offerte propiziatorie venivano portate con lo scopo di placare l’ira degli dei.

Oltre a quelle sopra elencate, si facevano sacrifici per ottenere il successo di un’impresa che si stava per intraprendere, per adempiere a un voto o per ordine di un oracolo. Ogni sacrificio era accompagnato dal sale e anche da una libagione, che di solito consisteva in vino; la coppa era sempre riempita fino all’orlo, a indicare che l’offerta era fatta senza riserve. Quando si sacrificava agli dei infernali, la coppa contenente la libagione veniva riempita di sangue.

Gli animali offerti alle divinità dell’Olimpo erano bianchi, mentre quelli agli dei del mondo inferiore erano neri. Quando un uomo offriva un sacrificio speciale per se stesso o per la sua famiglia, questo era caratterizzato dalla natura della sua occupazione; così un pastore portava una pecora, un viticoltore la sua uva, e così via. Ma nel caso di sacrifici pubblici, veniva sempre tenuta presente la presunta individualità della divinità. Per esempio, a Demetra si offriva una scrofa, perché questo animale è in grado di sradicare il seme di grano; a Dioniso una capra, perché è distruttiva per i vigneti, ecc.

Buoi condotti al sacrificio
Buoi condotti al sacrificio

Il valore delle offerte dipendeva in larga misura dalla posizione dell’individuo: per un ricco era considerato un disprezzo degli dei portare un’offerta meschina, mentre per un povero la più piccola oblazione era considerata accettabile.

Gli ecatombi consistevano in un centinaio di animali e venivano offerti da intere comunità o da individui facoltosi che desideravano o avevano ottenuto qualche favore speciale dagli dei.

Quando si offriva un sacrificio, si accendeva un fuoco sull’altare, nel quale si versavano vino e incenso per aumentare la fiamma. In tempi molto antichi, la vittima veniva posta sull’altare e bruciata intera; ma successivamente vennero sacrificate solo porzioni delle spalle, delle cosce, delle interiora, ecc.

I sacerdoti officianti indossavano una corona composta dalle foglie dell’albero sacro alla divinità che invocavano. Così, quando si sacrificava ad Apollo, le corone erano di alloro; quando ad Eracle, di pioppo. Questa pratica di indossare corone fu, in un secondo momento, adottata dal grande pubblico in occasione di banchetti e altre festività.

In occasioni di particolare solennità, le corna delle vittime venivano ricoperte d’oro e gli altari addobbati con fiori ed erbe sacre.Il modo in cui si svolgevano i sacrifici era il seguente: tutto preparato, una torta di sale, il coltello sacrificale e le corone venivano messi in una piccola cesta e portati al santuario da una giovane fanciulla, dopodiché la vittima veniva condotta nel tempio, spesso con l’accompagnamento della musica. Se si trattava di un animale di piccola taglia, veniva spinto a briglia sciolta fino all’altare; se si trattava di un animale di grandi dimensioni, veniva condotto con una lunga corda, per indicare che non si trattava di un sacrificio involontario.

Quando tutti erano riuniti, il sacerdote, dopo aver camminato in stato solenne intorno all’altare, lo cospargeva di una mistura di farina e acqua santa, dopodiché cospargeva anche i fedeli riuniti e li esortava a unirsi a lui nella preghiera. Terminata la funzione, il sacerdote assaggiava la libagione e, dopo aver chiesto ai fedeli di fare altrettanto, versava il resto tra le corna della vittima, dopodiché spargeva l’incenso sull’altare e versava una parte della farina e dell’acqua sull’animale, che veniva poi ucciso. Se per caso la vittima sfuggiva al colpo o diventava in qualche modo irrequieta, era considerata di cattivo auspicio; se, al contrario, spirava senza lottare, era considerata di buon auspicio.

Ai sacrifici alle divinità del cielo si aggiungeva la musica, mentre si eseguivano danze intorno all’altare e si cantavano inni sacri. Questi inni erano generalmente composti in onore degli dèi e contenevano un resoconto delle loro azioni famose, della loro clemenza e benevolenza e dei doni da loro conferiti agli uomini. Per concludere, si invocava la continuazione del favore degli dei e, al termine della funzione, si teneva un banchetto.

Un sacrificio nell'Antica Grecia
Un sacrificio nell’Antica Grecia

I Greci sgozzavano gli animali che volevano sacrificare. Il sangue raccolto poteva essere usato come offerta supplementare. Questi sacrifici non avvenivano all’interno dei templi, ma all’esterno.

Una parte dell’animale veniva sacrificata e il resto veniva servito agli ospiti della cerimonia. Gli dei sono spesso descritti come impegnati a banchettare e ad annusare l’aroma che giungeva loro dal sacrificio. Qualunque fosse la vittima sacrificata, sacrificare agli Olimpi significava “fumigare”. Si credeva che agli dei piacesse particolarmente l’odore del grasso degli animali bruciati.

O l’animale è stato bruciato completamente, per placare agli dei, ad esempio in caso di omicidio. Veniva quindi offerto al posto della vittima. Un sacrificio era quindi un dono agli dei. E poiché gli animali erano costosi, questa era una prova del loro valore economico e morale. Inoltre, era un’occasione in più per banchettare!

Sacerdote e sacerdotessa dell'antica Grecia
Sacerdote e sacerdotessa dell’antica Grecia

 

Piccoli sacrifici quotidiani

Gli antichi greci credevano che gli dei potessero vedere tutto e che fossero sensibili al minimo segno di gratitudine. Per superstizione, quindi, i greci facevano sempre ogni sorta di piccole offerte.

Credevano anche che i fiumi, le foreste e altri fenomeni naturali fossero segnati dalla presenza degli dei. Gettando piccoli sassolini o offerte nel fiume o altrove, si credeva di rendere omaggio al potere e all’ubiquità degli dei.

Di conseguenza, preghiere e sacrifici accompagnavano sempre le celebrazioni civili o domestiche (nascite, matrimoni, banchetti). La convinzione che gli dei fossero ovunque si spingeva ancora più in là. I Greci credevano occasionalmente che gli dei camminassero sulla terra in forma umana per mettere alla prova l’umanità stessa. Così, ogni volta che dicevano qualcosa di stupido, aggiungevano: “È stato un dio a mettermelo in testa”.

Purezza: la parola chiave

 

Non c’era cerimonia religiosa degna di questo nome senza un rito di purificazione. Questo processo significava letteralmente lavarsi completamente, ma nella maggior parte dei casi era sufficiente lavarsi le mani. L’idea della purificazione deriva senza dubbio dal fatto che molti Greci erano (o erano stati) agricoltori e che, lavandosi, mettevano da parte il loro lavoro prima di adorare gli dei, liberandosi così delle loro impurità. I riti di purificazione erano talvolta estremi, se era necessario purificarsi da un atto riprovevole (per esempio, un assassino che voleva lavare il sangue che gli macchiava le mani).

 

Ad ogni dio la sua vittima

Gli animali (grandi o piccoli) particolarmente graditi agli dei venivano immolati:

  • Apollo, Poseidone, Ares: toro bianco
  • Afrodite: ratto/capra/coniglio
  • Artemide: ariete/capra bianca
  • Asclepio: gallo
  • Demetra: semina o una scrofa
  • Dioniso: capra 
  • Ade, Efesto: toro nero
  • Era: giovenca
  • Hermes: vitello
  • Persefone: giovenca (bianca o nera)
  • Zeus: Toro rosso
  • Il sacrificio più grande sembra essere stato l’hecatombe, un centinaio di buoi.

Non dimentichiamo i sacrifici umani che venivano praticati ancora in epoca classica. Si pensi ai prigionieri persiani sacrificati prima della battaglia di Salamina del 480 a.C., il fatto è qui raccontato da Plutarco:

Mentre Temistocle stava sacrificando sulla nave ammiraglia, gli vennero portati tre prigionieri, tutti di bell’aspetto, vestiti in modo sfarzoso e impreziositi d’oro. Si diceva che fossero i figli di Sandace, sorella di Serse. Alla loro vista, l’indovino Eufrantide, notando che contemporaneamente dalla pira si levava una fiamma alta e luminosa e che sulla destra si sentiva un fatidico starnuto, prese per mano Temistocle e gli ordinò di sacrificare questi giovani, giurando tutti e tre a Dioniso Omestes (il divoratore di carne cruda); a questo prezzo, i Greci avrebbero avuto la salvezza e la vittoria.

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