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AB URBE CONDITA: ROMOLO

< – Nelle puntate precedenti:

Abbiamo narrato le leggende più antiche della primissima tradizione romana: l’arrivo
di Enea nel Lazio, l’amicizia e l’alleanza con Re Latino, il matrimonio con sua figlia Lavinia, la guerra contro Turno, il regno di Ascanio o Julo fino alla lotta fra Amulio e Numitore. Rea Silvia partorisce due gemelli, figli di Marte, che vengono dal tiranno gettati nel Tevere. Ma una lupa li trae in salvo e li allatta e il Pastore Faustolo li trova e li porta alla moglie Acca Larenzia, che li alleva. Cresciuti coi nomi di Romolo e Remo, rimettono sul trono Numitore e poi si allontanano, decisi a fondare una nuova città

Ab Urbe condita: 21 aprile dell’anno 753 a.C.

ROMA CAPOCCIA DER MONNO INFAME

Mappa roma antica
Mappa di Roma Antica, da High school Ancient History, Greece and Rome di Philip Van Ness Myers,1901
Roma è famosa per sorgere su sette colli vicino al fiume Tevere. Questi colli sono:

  • Capitolino
  • Palatino
  • Aventino
  • Esquilino
  • Quirinale
  • Viminale
  • Celio

Intorno almeno al 1000 a.C. furono costruite piccole capanne (modeste abitazioni costituite da un telaio di legno e ramoscelli, coperti poi con paglia e fango) su alcuni colli: Palatino,
Esquilino, Quirinale e Celio
. Questi erano non più che un insieme di piccoli villaggi. Gli scavi hanno riportato alla luce alcune capanne e siti funebri risalenti a questo periodo, rivelando che durante l’ottavo secolo a.C. i primi romani commerciavano con l’Etruria e la Grecia, e realizzavano in proprio ceramiche, figurine e armi.

Essi erano dediti alla coltivazione del grano e dell’orzo, allevavano capre e maiali ed erano dediti alla caccia.

I romani dei tempi successivi, guardavano indietro a quest’epoca semplice, dominata dell’agricoltura, e la idealizzarono come un’era piena virtù, di autodisciplina, di duro lavoro e di saggezza, contrapponendola alla ricchezza, alla decadenza e all’indolenza dell’Impero.

Gli insediamenti man mano ingrandirono e lo spazio sulle colline si è esaurì presto. Così le valli paludose furono prosciugate e gli insediamenti crebbero lungo i pendii, cominciando a fondersi l’uno con l’altro nel corso del VII secolo a.C. Qualcosa di simile a una città cominciò a prendere forma: la prima Roma.

I romani conservavano nella memoria popolare, il tempo in cui Roma crebbe da un insieme di villaggi, rievocandolo in una festa religiosa in cui i sacerdoti e le Vestali compievano una processione che toccava i santuari delle quattro regioni della città: Palatino, Esquilino, Quirinale e Celio.
Al tempo dei re, Roma era in una condizione assai primitiva e controllava un’area di soli 150 chilometri quadrati circa. Ma, presto Roma divenne una città potente.
I re portarono un governo e un’organizzazione centralizzati. Sotto il loro regno, Roma iniziò a evolversi da un gruppo di villaggi in una città munita di difese e servizi come le fognature e i recinti religiosi che hanno contribuito a promuovere un senso di identità.

I Tarquini, ultimi re di Roma estesero la loro autorità su tutto il Lazio. La posizione di supremazia così attribuita a Roma fu naturalmente accompagnata dalla rapida crescita della popolazione e dell’importanza della piccola città palatina.

Le mura originarie divennero presto troppo strette per le moltitudini crescenti; furono costruiti nuovi bastioni — vuole la tradizione sotto il regno del re Servio Tullio — che, con un’estensione di sette miglia, giravano intorno all’intero agglomerato dei Sette
Colli
. Un vasto tratto di terreno paludoso tra i colli Palatino e Capitolino fu drenato per mezzo della Cloaca Maxima, (la “Grande Fogna” si potrebbe tradurre), che fu costruita in modo così mirabile e che si è conservata fino ai giorni nostri. Scarica ancora le sue acque attraverso un grande arco nel Tevere. Il terreno così bonificato divenne il Foro, il luogo di ritrovo del popolo.

Ad un angolo di questa pubblica piazza, come dovremmo chiamarla, c’era il Comitium, un recinto dove si tenevano le assemblee dei patrizi. Ai piedi di questo terreno leggermente rialzato, e posto in modo che l’oratore potesse rivolgersi sia ai plebei nel Foro che ai patrizi nel Comizio, si trovava il rostrum o piedistallo, dal quale gli oratori romani pronunciavano i loro discorsi.

Questo luogo di ritrovo in epoche successive fu ampliato e decorato con vari monumenti e circondato da splendidi edifici e portici. Qui si diceva, venivano risolte questioni e si riusciva a decidere sulle cose più che in qualsiasi altro luogo del mondo antico.

Il Senato occupava un lato del Foro e di fronte a questo sul lato opposto c’erano il tempio di Vesta e il palazzo del re. Su tutto dominava dalla sommità del Campidoglio il famoso santuario omonimo o Tempio di Giove Capitolino, dove sotto lo stesso tetto si trovavano i santuari di Giove, Giunone e Minerva, le tre grandi divinità nazionali.
Sul pianoro tra l’Aventino e il Palatino era situato il Circo Massimo (il “Circo Grande”), dove si celebravano i giochi romani.

La più nota delle strade di Roma era la Via Sacra, che attraversava il Foro e conduceva sul Campidoglio, al tempio di Giove. Questa era la strada lungo la quale passavano i cortei trionfali dei conquistatori romani

Secondo un’altra versione, Romolo, subito dopo aver visto i dodici avvoltoi, s’accinse a fondare la nuova sede secondo il rito italico: con la toga succinta e ripiegata sul capo, aggiogò all’aratro un bove ed una giovenca, in modo che questa stesse dal lato interno, e l’altro animale dal lato esterno del disegno della città; guidando l’aratro egli tracciò il solco delle mura, mentre i suoi compagni avevano cura che le zolle smosse ricadessero tutte nella parte interna al solco; nei punti determinati per le porte della città, veniva alzato l’aratro, interrompendo il tracciato.

Cosi fu disegnato il circuito della mura o cinta sacra (pomoerium), ai piedi del Palatino. Questo fu il primo nucleo di Roma, e dalla configurazione del colle, essa fu detta Roma quadrata. Mentre Romolo tracciava il solco, Remo per derisione lo varcò con un salto; Romolo preso dall’ira lo colpì a morte, esclamando : « Cosi muoia chiunque varcherà queste mura! »

Un’altra versione attribuisce il delitto al capo del corpo di guardia di Romolo, Celere: forse per sgravare il primo re di Roma dalla responsabilità materiale del fratricidio? Se fosse vero, non lo scagionerebbe affatto, ma lo inquadrerebbe in una luce più negativa ai nostri occhi. Non fu l’esecutore materiale del delitto? Ne fu il mandante e non si sporcò neppure le mani! Il che è anche peggio!

La leggenda prosegue affermando che Romolo fu subito preso dal rimorso per l’assassinio e che ricevette successivamente numerose visite del fantasma di suo fratello. Remo mostrò tanto spirito dopo la sua morte quanto era stato audace in tutta la sua vita. La sua ombra spuntò al proprio capezzale per avvelenare l’esistenza futura del fratello, orribile apparizione dell’Ombra di Remo a Romolo.

La tradizione ci dice che Romolo venne alla lunga a patti con il fantasma, il quale accettò di interrompere le sue visite ottenendo in cambio che fosse istituita la festa della Lemuria – chiamata, in origine, Remuria – in memoria di Remo. Celebrate il 9, l’11 e il 13 maggio per esorcizzare gli spiriti dei morti, i lemuri.

I riti venivano celebrati di notte dal pater familias, a piedi nudi (una punizione appropriata per uno che si era intrufolato a casa del fratello senza neppure togliersi le scarpe), le mani venivano lavate tre volte – una sorta di espiazione necessaria per via del delitto – e venivano lanciati alle proprie spalle, recitando formule magiche, per nove volte delle fave nere: la superstizione voleva infatti che il crescere delle fave avrebbe tenuto lontani gli spiriti maligni.

Nel 609 papa Bonifacio IV sostituì i Lemuria con la festività di Tutti i Santi, celebrata il 13 maggio. Nel 732, papa Gregorio III ne trasferì la celebrazione al 1º novembre. Quindi non è affatto vero che Halloween sia una festa celtica, o comunque non è all’origine del nostro Ognissanti. È soltanto l’esterofilia, l’ignoranza e la moda che hanno snaturato la festività dei defunti della sua origine latina e le hanno affibbiato una presunta e posticcia origine anglosassone.

Lo sfortunato gemello fu sepolto sul monte Aventino, e Romolo ordinò una doppia serie di scettri, corone e segni regali distintivi, in onore del fratello defunto: tributi vuoti alla memoria di un parente assassinato.

Ecco come Ovidio, nei fasti, ci racconta la scena, un po’ shakespeariana dell’apparizione del fantasma di Remo: 

Quando Romolo ebbe rinchiuso lo spirito di suo fratello nella tomba, e rese gli ultimi doveri a Remo, che era stato troppo impetuoso per la sua sventura, Faustolo sprofondò nell’afflizione, e Acca, con i capelli sparsi, annaffiò con le sue lacrime le ossa bruciate. Poi afflitti, tornano tristemente alla loro dimora, nelle prime ombre del crepuscolo, e giacciono sul loro letto duro e ruvido, e appare loro l’ombra sanguinante di Remo, sta ai piedi del letto e sussurra queste parole sottovoce:

” Ecco colui che una volta ebbe una parte, metà del tuo amore; vedi, come sono diverso ora da quello che ero allora! Io, che avrei potuto essere il più grande del mio popolo, se gli uccelli mi avessero dato l’impero, ora sono solo un’ombra senza corpo, sfuggita ai fuochi della pira; tutto ciò che resta è questo fantasma di colui che era Remo.

Ahimè! dov’è Marte, mio ​​padre? Se hai detto la verità, se ha nutrito la nostra infanzia con il seno di una bestia feroce, dopo essere stato salvato da un lupo, sono caduto sotto i colpi di un cittadino audace. Oh! com’era meno spietato il lupo! Celere crudele, possa il ferro strapparti anche l’anima disumana!

Scendi tu, come noi, sanguinante sotto terra! Mio fratello non aveva voluto la mia morte; la sua tenerezza corrispondeva alla mia; ridotto a impotenti rimpianti, pianse il mio destino. Pregalo con le tue lacrime, con il tuo pane, che ha mangiato, di consacrare questo giorno con una festa solenne».

Sentendo questa preghiera, vogliono abbracciare l’ombra e stendergli le braccia; scivola dalle loro mani, che pensavano di averlo afferrato. L’apparizione scompare e dorme con lui.

Acca e Faustolo ripeteranno poi al re le parole del fratello.

Romolo obbedisce, e dà il nome di Remo a quel giorno;  fino ad oggi, quando si portano offerte alle tombe degli antenati. Nel tempo, una lettera più morbida ha sostituito la lettera più ruvida che era la prima nel nome. Presto anche le anime dei morti furono chiamate Lemures. Tale è il significato, tale è il valore di questa parola.

(Ovidio, Fasti, libro V)

All’età di diciotto anni, Romolo che dopo la morte di suo fratello era rimasto l’unico padrone, gettò quindi le fondamenta di una città che doveva dare le leggi ał mondo. Fu chiamata Roma dal nome del suo fondatore Romolo che la edificò sopra il monte Palatino; altri ritengono che il nome significhi piuttosto « forza » o «la città forte» (dal gr. rhôme), equivalente all’altro sacro e arcano nome della città, cioè Valentia (altre ipotesi sostengono invece che fosse Pales, Iuppiter, o Quirium. Giovanni Pascoli, nel suo Inno a Roma indica nel suo palindromo Amor, cioè amore nome segreto della città ).

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Romolo traccia con l’aratro il confine della città di Roma, opera dei Carracci, Palazzo Magnani, Bologna

Tutta questa narrazione altro non è se non mito e leggenda, di cui l’indagine critica cerca di penetrare e intendere formazione. Ma gli antichi Romani consideravano tutti questi eventi come accertati e attendibili dal punto di vista storico, costituendo parte della loro fede nazionale, infatti si dichiaravano discendenti dalla divina stirpe di Enea. Questa credenza appare documentata negli atti pubblici dello stato romano, che ai Troiani, come a loro affini e parenti, fece concessioni liberali.

Quando i Romani iniziarono le loro campagne militari in Asia, compirono dei sacrifici rituali sulla collina di Ilio, e verso gli abitanti del luogo furono sempre benevoli, come verso dei concittadini o dei parenti. Discendenti dai Troiani si dichiararono Silla, Giulio Cesare e gli imperatori della casa Giulio-Claudia. La famiglia di Giulio Cesare rivendicava l’origine dalla propri stirpe da Julo figlio di Enea, dunque di origine troiana. Il poeta Virgilio, per omaggiare Augusto, primo imperatore e figlio adottivo di Cesare, immortalò questa mitica genealogia nel suo poema epico: l’Eneide.

Era di Roma

Alla leggenda d’Enea si connette quella di Romolo e di Remo mediante la saga dei re albani, discendenti da Julo. Alla serie di questi re favolosi si assegnava, comprendendo gli anni delle peregrinazioni e del regno d’Enea, un periodo di 431 anni, giusti appunto per riempire lo spazio che intercorre fra la caduta di Troia (1184 av. C.) e la fondazione di Roma, la quale, secondo Varrone, era da porsi nell’anno 3º dalla VI Olimpiade.

Poiché la prima Olimpiade (776 a. C.) si diceva avvenuta 408 anni dopo la presa di Troia, ai quali si devono aggiungere le sei Olimpiadi non disputate (un periodo di 23 anni) si ottiene appunto il numero di 431 anni dopo la caduta di Ilio, o in altri termini (1184-431); nella conversione al nostro sistema di datazione, risultano dunque 753 anni prima della nascita di Cristo. Il giorno della fondazione era quello delle feste pastorali sacre a Pale, e dette Palilie, cioè il 21 aprile. Secondo Varrone dunque, Roma fu fondata ai 21 d’aprile dell’anno 753 prima di Cristo.

I magnifici sette (Re)

Regno di Romolo (a. 753-716)

Terra delle nuove opportunità

La città fu edificata nel luogo del presagio favorevole a Romolo, presso il colle Saturnio, detto poi Capitolino; la sua forma era quasi quadrata, conteneva mille case circa e aveva quasi un miglio di circonferenza, dominando sopra un piccolo territorio di di circa otto miglia totali. Un po’ piccolina per i nostri standard e per quelli dell’epoca, sottopopolata.

Roma nei primi anni della sua fondazione nell’VIII secolo a.C. Fonte: Versione francese di Wikipedia. Per vedere il file SVG originale clicca qui

Il primo mezzo a cui Romolo ricorse per accrescere il numero dei suoi abitanti, fu di farne un asilo per tutti malfattori, servi ed altri cui una nuova città potesse allettare, affidandosi al suo regno per avere sicurezza e diritti. Costoro vennero in folla dai paesi vicini e contribuirono a popolare la nuova urbe: servi fuggitivi, esuli politici, debitori spodestati, ed ogni sorta di banditi e predoni; accolti in protezione da Romolo divennero tutti cittadini. Ma in mezzo a tutta questa allegra brigata, state pur certi che la notte si doveva dormire con un occhio aperto.

Appena fondata la città, i rozzi abitanti di essa pensarono subito a darsi delle leggi; Romolo per un atto di generosità lasciò loro la libertà di scegliersi un Re ed essi per gratitudine elessero come tale il loro stesso fondatore. Romolo fu dunque riconosciuto come Capo della Religione, Magistrato Supremo di Roma e Generale dell’armata e scusate se è poco. Oltre che di assegnargli una guardia per accompagnare la sua persona, si stabilì che egli fosse preceduto da dodici Littori armati di scuri e di fasci per far eseguire le leggi, come pure perché s’imprimesse meglio negli animi l’idea dell’autorità del Capo.

il Senato, che doveva servire di consiglio al monarca, fu composto di cento tra i principali cittadini di Roma, i quali per età, saggezza e valore meritavano naturalmente di esercitare l’autorità sopra i loro cittadini. Era sempre il Re a nominare il primo Senatore e lo destinava a governar la città ogni volta che la guerra l’obbligava ad allontanarsene.

I plebei, cioè il terzo ordine dello Stato, eseguivano le leggi stabilite dal Re e dal Senato. Tutto ciò che era relativo alla pace o alla guerra, all’elezione de Magistrati come ancora a quella del Re, era confermato nelle loro assemblee.

Una delle prime cose che fece Romolo, fu di occuparsi degli affari di religione. Non si conosce precisamente la forma del culto di questa prima fase di Roma, ma la maggior parte della religione di quel secolo consisteva nel credere ciecamente agli oracoli ed al potere degli indovini, i quali dalle osservazioni sul volo degli uccelli e sulle interiora degli animali, pretendevano di conoscere il presente e di predire il futuro. Romolo ordinò espressamente con una legge che non si intraprendesse nessuna azione e non si facesse alcuna elezione senza averli prima consultati.

Si proibì alle donne di separarsi dai loro mariti, sotto qualunque pretesto che si possetesse addurre; al contrario i mariti potevano ripudiare le loro mogli ed anche ucciderle in qualche caso.

Le leggi sopra i figli ed i loro genitori erano anche più severe. Il padre aveva un pieno potere
sopra la sua famiglia e poteva disporre de beni e della vita dei propri figli. Egli poteva imprigionarli
o venderli in qualunque età della loro vita loro o in qualsivoglia grado fossero inquadrati.

Romolo dopo aver procurato di rendere i suoi sudditti ubbidienti alle leggi, dette degli ordini per assicurarsi del loro numero. Quelli che erano in stato di portar le armi, non oltrepassavano il numero di tremila fanti e trecento cavalleggieri. Furono divisi conseguentemente in tre tribù ed a ciascuno fu assegnato un quartiere differente della città.

Ciascuna tribù fu suddivisa in dieci curie o compagnie composte di cento uomini, con un Centurione a comandarle.

Un sacerdote detto Curione fu incaricato di offerire il sacrificio e due dei principali abitanti, perciò nominati Duumviri, furono destinati ad amministrare la giustizia.

Per questi saggi regolamenti la potenza della nuova città accresceva di giorno in giorno. Ví si accorreva in folla dalle vicine città, ma pareva che vi fosse bisogno di donne per assicurare la sua durata. In questo stato critico delle cose, Romolo, d’accordo col consiglio del Senato, spedì dei deputati ai Sabini, suoi vicini, per chiedere ad essi alleanza, offrendosi di stringerla con legami indissolubili.

Ratto delle Sabine

Le Sabine, Jacques-Louis David, 1799, Musée du Louvre, Parigi

La richiesta di alleanza e di legami parentali fatta da Romolo ai Sabini, considerati allora come il popolo più valoroso d’Italia, fu da questi respinta con sdegno: essi non volevano né amicizia, né legami nuziali con un popolo di banditi.

Allora Romolo, per conseguire i propri scopi, dovette ricorrere all’astuzia. Fece annunziare ai villaggi vicini che nella sua città si sarebbero celebrate delle feste in onore del Dio Nettuno, o secondo altri in onore di Conso -Consus – divinità del seme del grano (il quale fu poi effettivamente identificato con Nettuno), e furono allestiti magnifici preparativi. Consus era anche il dio dei concili, e organizzare un rapimento di fanciulle ai danni dei propri vicini nel corso di celebrazioni dedicate alla “conciliazione”, è come farsi invitare al matrimonio del proprio miglior amico per poi scapparsene via durante la cerimonia con la sposa. Ai romani non mancava certo il senso dell’ironia o meglio, del sarcasmo.

Queste feste erano di solito precedute da sacrifici e si chiudevano con lo spettacolo della lotta dei gladiatori e della corsa dei carri. I Sabini, come Romolo aveva previsto, accorsero per primi insieme alle mogli e alle figlie, per far partecipare anche loro al piacere dello spettacolo. Nel momento in cui cominciarono i giochi, quando gli stranieri stavano più attenti alle gare che ad altro, i giovani di Roma fecero irruzione, spada alla mano, e rapirono le donne più giovani e più belle, conducendole via a forza. Qualcuno ci rimise anche la pelle. Invano i genitori reclamarono contro l’ospitalità violata e le stesse figlie si opposero altrettanto inutilmente all’atto dei loro rapitori.

Infatti, quando alla forza bruta seguì la dolcezza e le ragazze e i loro rapitori fecero più confidenza, scattò l’inevitabile sindrome di Stoccolma, e almeno dalla parte delle vittime del ratto, la volontà di opporsi si affievolì.

Ma gli uomini invece giurano vendetta; Ne risultò ben presto una guerra sanguinosa. Le città di Cenina, d’Antenna e di Grustumeria furono le prime che decisero di vendicare la causa comune e presero le armi assieme alla città di Cure. I Sabini invece parvero titubare. Acrone, il re di Cenina, cadde in battaglia per mano di Romolo, il quale, spogliando l’abito del nemico, lo fece portare a Roma e lo fece appendere ad un’ quercia, dove le armi e le armature di Acrone, scintillanti tra le ghiande, furono dedicate, come Spolia opima, a Giove Feretrio. Le divisioni fra i nemici, resero più facile a Romolo la loro conquista, ma egli invece di distruggere o di diminuire di numero le città avversarie, vi stanziò soltanto delle colonie di Romani per servire di frontiera e per difender Roma da un’eventuale invasione.

Tito Tazio (il nome di questo re mi è sempre sembrato cacofonico e mi ha sempre ricordato il celebre sketch comico di Tognazzi e Vianello “Tito, tu t’ha ritinto il tetto, ma n’ t’ intendi mica tanto di tetti ritinti ) che era Re di Curese, città dei Sabini fu l’ultimo sebbene il più formidabile ad intraprendere la guerra di vendetta per l’affronto che il suo paese aveva ricevuto. Egli entrò in territorio Romano alla testa di venticiquemila uomini e non contento di una tale superiorità di forze usò anche degli stratagemmi.

Tarpeia, figlia del comandante del Campidoglio, disgraziatamente cadde nelle sue mani, quando uscita fuori delle mura della Città, era andata in cerca dell’acqua. Dopo averle fatto molte promesse, se ne accattivò la fiducia, al fine di indurla a favorire l’ingresso alla sua armata per una delle porte della città.

Mappa di Roma sui sette Colli. Fonte: versione tedesca di Wikipedia

La ragazza, vedendoli tutti belli, eleganti ed in ghingheri, chiese in ricompensa ai soldati i loro preziosi braccialetti. Non si capisce se Sabini non avessero inteso bene la richiesta della giovane o se l’abbiano voluta punire per il suo doppio gioco: sta di fatto che, una volta entrati in città…altro che braccialetti! Le gettarono addosso proprio i loro scudi, uccidendola. Bel ringraziamento! In poco tempo gli invasori divennero padroni del Campidoglio, ma poco dopo ripresero gli scontri, e per alcuni giorni le sorti della guerra furono molto incerte, succedendosi a stretto giro sconfitte e vittorie in egual misura da tutte e due le parti.

Nella valle situata tra il Campidoglio ed il monte Quirinale si svolse quindi la battaglia decisiva tra i Romani ed i Sabini. I primi, sempre guidati da Tito Tazio, dopo il tradimento di Tarpea, mantenevano la posizione sul colle Saturnio o Campidoglio, quindi si combatté nella pianura fra questo stesso colle e il Palatino. Il massacro di uomini fu spaventoso e la lotta interminabile\ quando all’improvviso, entrambe le parti si fermarono di colpo, colpiti tutti dallo stupore di quello che stava ora accadendo: le donne dei Sabini rapite dai Romani, comparvero in mezzo ai combattenti, coi capelli sparsi e spettinati e senza portare alcun ornamento.

Sprezzanti della propria incolumità, imploravano con alte grida la pietà dei loro mariti e dei loro padri, che esse scongiuravano perché ponessero fine al combattimento. Uno stesso impulso prese contemporaneamente i combattenti da ambo le parti, e tutti lasciarono cadere di mano le loro armi.

Insomma: le donne si dimostrarono assai più sagge dei rozzi uomini, sempre pronti a menare le mani. Probabilmente, se non fosse stato per loro, Romani e Sabini se le starebbero ancora dando di santa ragione, e non ricordando neanche più il perché

Si concluse dunque un trattato e si decise che Romolo e Tazio avrebbero regnato insieme a Roma, ciascuno dei due con eguale potestà e con le medesime prerogative: che si ammettessero nel Senato cento Sabini, che la città ritenesse il suo nome originale, ma che i cittadini fossero chiamati Quiriti, dal nome degli abitanti di Curese, Città capitale dei Sabini. Poiché le due nazioni erano ormai unite, d’ora in poi, i Sabini che avessero desiderato abitare in Roma, avrebbero goduto degli stessi privilegi di tutti gli altri cittadini. Circa cinque anni dopo Tazio fu ucciso da Lavini di Laurento, per aver protetto alcuni dei suoi, i quali avevano derubato ed assassinato i loro ambasciatori. Romolo quindi fu di nuovo il padrone di Roma.

Tali avvenimenti resero però superbo il conquistatore. Invece di contenersi nei limiti, nei quali fino ad allora era stata saggiamente ristretta ta la sua autorità, egli acquistò ben presto un potere assoluto, violando le leggi alle quali egli stesso aveva spontaneamente promesso di ubbidire. Questa condotta gli inimicò il Senato che si era ormai ridotto soltanto ad essere un strumento per legittimare i voleri del sovrano.

Romolo continuò ad essere re del popolo di Roma, ormai notevolmente accresciuto rispetto alle origini, al quale diede leggi e ordinamento politico e militare. Intraprese una nuova guerra vittoriosa contro la città di Fidene, conquistandola, e contro gli Etruschi di Veio, i quali, vinti, gli cedettero buon tratto del loro territorio.

Fine di Romolo

Apparizione di Romolo a Proculo, Rubens

Dopo queste gloriose imprese Romolo morì. Qualcuno sostiene sia stato vittima di una congiura, ma non sappiamo in quale modo e con quali mezzi sia stato abbattuto il tiranno.

Alcuni riportano che egli sarebbe stato massacrato, e il cadavere smembrato, nella sala del Senato (oppure nel tempio di Vulcano) e i suoi pezzi nascosti sotto le vesti dei senatori sepolte in vari luoghi della città. Sembra che perfino la sua testa, dopo essere stata divisa come un’anguria tra i senatori presenti, sia stata da essi mangiata. Il tutto può avere i risvolti sia della congiura di palazzo che dei rituali ancestrali e antropofagi tribali: essi prevedono il cannibalismo, da parte di tutti, del cadavere del sovrano al fine di assumerne la forza e il potere; vi può anche il riflesso del rito della sfida a morte del monarca stesso, previsto in molte culture primitive, al fine di decidere con la lotta, il nuovo re.

Secondo altri, invece, Romolo sarebbe caduto vittima di assassinio mentre passava in rivista la sua armata, presso la palude Caprea. Certo è che i Senatori approfittarono subito di questa situazione e dello smarrimento del suo cadavere, per persuadere il popolo che egli fosse stato rapito in cielo, durante un temporale, fra le nubi illuminate dai lampi; contenti cosi di onorare come un Dio colui che non avevano voluto come Re. Romolo aveva regnato per trentasei anni e dopo la sua morte gli fu eretto un Tempio sotto il pome di Quirino. Un tale Proculo Giulio disse di averlo visto salire in cielo sul carro infuocato di Marte, e di aver da lui ricevuto l’ordine, da comunicare a tutti, che il popolo lo adorasse come Dio Quirino (formerà infatti con Giove e Marte, la prima triade della religione romana), e rivelandogli la profezia che Roma sarebbe divenuta regina delle genti.

Nel cinema e nella TV

230px Steve Reeves e Gordon Scott in Romolo e RemoSteve Reeves e Gordon Scott

Romolo e Remo è un film del 1961 diretto da Sergio Corbucci, con soggetto e sceneggiatura, tra gli altri, di Sergio Leone.

Romolo e Remo i figli di Rea Silvia, esiliata e condannata alla pena capitale da Amulio, loro zio, vengono salvati dalle acque del Tevere da una lupa e cresciuti poi dal pastore, Faustolo.

I due giovani, ormai cresciuti, si danno al brigantaggio e mettono insieme una banda per rovesciare i due tiranni – Amulio e Tazio, re dei Sabini. Romolo e Remo ritrovano la loro madre, ormai sul punto di morire, che predice ai suoi figli il loro futuro di fondatori di una grande città.

Nel frattempo Romolo conosce la figlia di Tazio, Julia, e se ne innamora, mentre Remo ambisce al potere. I due fratelli rapiscono Julia e Il re Tazio si lancia al loro inseguimento, anche per punire i distruttori della sua città, Alba Longa. Ma i due gemelli entrano in conflitto per il potere, fino ad arrivare a scontrarsi in un duello all’ultimo sangue per decidere chi dei due dovrà fondare Roma. Nel cast anche Virna Lisi nel ruolo di Julia e Ornella Vanoni in quello di Tarpeia.

La rivista Variety ha stroncato duramente il film, che a loro avviso è pieno di  “primitività drammatiche, tecnicamente sciatto, suscita sbadigli ed è noioso”. Lo si giudica anche “zoppicante e diretto con scarso talento”. Anche il Lexicon of International Films non ne è molto entusiasta: “prodotto in serie del filone: forzuti e sandali, esempio di cinema pieno di valori ingenui dello spettacolo”.  Il Nuovo Spettatore Cinematografico annota le “molte variazioni con le quali la fertile fantasia degli autori completa il racconto”.

Saga di Star Trek 

Romulans remans star trek

Nell’universo fantascientifico di Star Trek, Romulus è un pianeta colonizzato dai Vulcaniani che hanno dato così vita alla civiltà Romulana, gente aggressiva e infida. I Remani invece, sono una specie umanoide con doti telepatiche, schiavizzati dagli stessi Romulani.

Nel prossimo episodio – > : Apprenderemo la storia di Numa Pompilio, il leggendario secondo re di Roma, successore di Romolo. Egli organizza la nuova città dandole delle leggi. Profondamente religioso, costruì il tempio di Giano Bifronte le cui porte erano chiuse in tempo di pace e aperte in tempo di guerra e quello di Vesta dove era custodito il sacro fuoco della città sotto la protezione delle vestali. Organizza il culto degli dèi nazionali, creando collegi di sacerdoti, con i Flamini, il Pontefice Massimo e i Salii e fissando il numero e la data delle feste. Crea il calendario romano con dodici mesi lunari. Per i romani il suo regno appare come un’età dell’oro

(Libero adattamento e riduzione da Storia romana: dalla fondazione di Roma alla caduta dell’Impero d’Occidente. Iginio Gentile, 1885, e da Compendio della storia romana dalla fondazione di Roma fino alla caduta dell’impero romano in Occidente del dott. Goldsmith, 1801, con successive aggiunte, aggiornamenti e integrazioni)

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