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POSEIDONE: SOVRANO DEI MARI

Poseidone era figlio di Crono e Rea e fratello di Zeus. Era dio del mare, più in particolare del Mediterraneo, e come l’elemento che dominava, era di indole variabile: ora violentemente agitato, ora calmo e placido; per cui talvolta è rappresentato dai poeti come sereno e composto, e altre ancora come inquieto e furibondo.

I poteri di Poseidone

Nelle prime epoche della mitologia greca, Poseidone simboleggiava semplicemente l’elemento dell’acqua; ma in tempi successivi, poiché la navigazione e i rapporti con altre nazioni generarono maggiori traffici via mare, Poseidone acquistò sempre più importanza e venne considerato come una divinità distinta, che deteneva un dominio indiscutibile sul mare e su tutte le divinità marine, le quali lo riconoscevano come loro sovrano assoluto. 

Possedeva il potere di provocare a volontà delle tempeste possenti e distruttive, in cui i marosi salivano fin sulle alte montagne; il vento diventava un uragano; la terra e il mare erano avvolti da fitte nebbie, mentre la distruzione si abbatteva sugli sfortunati marinai esposti alla sua furia. 

D’altra parte, solo suo era il potere di calmare l’ira delle onde, di quietare le acque agitate e di concedere viaggi sicuri ai naviganti. Per questo Poseidone veniva sempre invocato e propiziato con una libagione prima di intraprendere un viaggio; sacrifici e ringraziamenti gli venivano offerti con gratitudine dopo una sicura e prospera traversata per mare.

Simbolo del suo potere era il forcone o il tridente del pescatore, per mezzo del quale produceva terremoti, sollevava isole dal fondo del mare e faceva scaturire pozzi dalla terra.

Un dio che è meglio non fare arrabbiare

Poseidone era essenzialmente la divinità che proteggeva i pescatori e per questo motivo, era particolarmente venerato e onorato nei paesi confinanti con la costa del mare, dove il pesce costituiva naturalmente un prodotto di base del commercio.

Il nume sfogava i suoi dispiaceri inviando disastrose inondazioni, che distruggevano completamente interi paesi, che di solito erano accompagnate anche dall’arrivo di terribili mostri marini, i quali inghiottivano e divoravano tutti coloro che lo stesso diluvio avevano risparmiato. È probabile che queste orribili creature del mare, fossero delle figure poetiche per rappresentare i demoni della fame e della carestia, che accompagno necessariamente un’inondazione generale.

Poseidone

Aspetto fisico

Poseidone è generalmente rappresentato come somigliante a suo fratello Zeus nei lineamenti, nell’altezza e nell’aspetto generale; ma nel volto del dio del mare vi manca la gentilezza e la benignità che così piacevolmente contraddistinguono il suo potente fratello. 

Gli occhi sono luminosi e penetranti e il contorno del viso un po’ più marcato nei suoi tratti di quello di Zeus, corrispondendo in questo modo, per così dire, alla sua natura più rabbiosa e violenta. I suoi capelli ondeggiano in masse scure e disordinate sulle sue spalle; il suo petto è ampio e la sua struttura potente e vigorosa; porta una barba corta e arricciata e una fascia intorno alla testa. 

Di solito appare ritto su uno splendido carro di conchiglie, trainato da enorme ippocampi, o da veri e propri destrieri marini, con criniere dorate e zoccoli di bronzo, i quali si lanciano sulle onde danzanti con tale meravigliosa rapidità, che il carro sembra appena sfiorare l’acqua. Gli esseri che abitano gli abissi, riconoscendo il passaggio del loro possente signore, saltellano giocosamente intorno a lui, mentre il mare spiana con zelo un sentiero per rendere agevole il percorso del suo onnipotente sovrano.

Residenza

Poseidone abitava in un bel palazzo in fondo al mare Egeo in Eubea, e possedeva anche una residenza reale sul monte Olimpo, che, tuttavia, visitava solo quando la sua presenza era richiesta al consiglio degli dei.

Il suo meraviglioso palazzo sotto le acque era di vasta estensione; nelle sue alte e capienti sale potevano radunarsi migliaia di suoi seguaci. L’esterno dell’edificio era d’oro brillante, che il continuo lavaggio delle acque conservava intatto; nell’interno, alte e graziose colonne sostenevano la lucente cupola. 

Ovunque v’erano fontane dai giochi d’acqua scintillante e argentea; in ogni angolo apparivano boschetti e pergolati fatti di piante marine dalle foglie piumate, mentre rocce di puro cristallo brillavano di tutti i vari colori dell’arcobaleno. Alcuni dei sentieri erano disseminati di sabbia bianca e scintillante, inframmezzata da gioielli, perle e ambra. 

Questa deliziosa dimora era circondata su tutti i lati, da campi molto estesi, dove si trovavano interi boschetti di corallo di colore porpora scuro, cespi di belle piante dalle foglie scarlatte e anemoni di mare di ogni tinta. 

Qui crescevano luminose, piccole alghe, muschi di ogni colore e sfumatura, ed erbe che, crescendo verso l’alto, formavano  grotte di smeraldo, e che erano i rifugi preferiti dalle Nereidi, mentre pesci di vario genere sfrecciavano giocosamente dentro e fuori, nel pieno godimento della loro nativo elemento. Né mancava l’illuminazione in questa regione fiabesca, che di notte veniva irradiata dalle lucciole degli abissi.

Il vice presidente o il numero due

Ma sebbene Poseidone governasse con potere assoluto sull’oceano e sui suoi abitanti, nondimeno si inchinò sottomesso alla volontà del grande sovrano dell’Olimpo e apparve sempre desideroso di avere con lui un atteggiamento conciliante. 

Lo vediamo quindi mentre viene in suo aiuto quando l’emergenza lo richiede e spesso gli fornisce un prezioso supporto contro i suoi avversari. All’epoca in cui Zeus fu vessato dagli attacchi dei Giganti, il fratello si dimostrò un potentissimo alleato, ingaggiando un combattimento singolo con un orribile colosso di nome Polibote, che inseguì oltre il mare, e che alla fine riuscì a massacrare, scagliando contro lui l’isola di Cos.

Tentativi di ammutinamento

Questi rapporti amichevoli tra i fratelli furono, tuttavia, talvolta interrotti. Così, ad esempio, in un’occasione Poseidone si unì ad Era e ad Atena in una cospirazione segreta per catturare il sovrano del cielo, metterlo in catene e privarlo del potere supremo. 

Scoperta la congiura, Era, come principale istigatrice di questo sacrilego attentato alla persona divina di Zeus, fu severamente castigata, e persino picchiata, dal suo sposo infuriato, come punizione per la sua ribellione e il tradimento; mentre Poseidone fu condannato, per lo spazio di un anno intero, a dover rinunciare al suo dominio sul mare. Fu in questo periodo che, insieme ad Apollo, costruì per Laomedonte le mura di Troia.

Poseidone e Anfitrite - Hendrick van Balen

Gli Amori di Poseidone

Poseidone sposò una ninfa marina di nome Anfitrite, che corteggiò sotto forma di delfino. Ella divenne poi gelosa di un’altra bella fanciulla chiamata Scilla, che era anche essa amata da Poseidone, e per vendicarsi gettò delle erbe in un pozzo dove l’ignara Scilla stava facendo il bagno; queste ebbero l’effetto di trasformarla in un mostro dall’aspetto terribile, con dodici piedi, sei teste con sei lunghi colli, e una voce che somigliava al latrato di un cane. 

Si dice che questa terribile creatura abitasse in una grotta a un’altezza molto elevata, situata nella famosa roccia che anche a giorni nostri si chiama Scilla (da scylla, “cagna”, uno scoglio pericoloso, una volta molto temuto dai marinai, che si trova nello Stretto di Messina), e che piombasse giù dall’alto della parete rocciosa sopra ogni nave che passava. Si raccontava anche che ognuna delle sue sei teste riuscisse sempre ad assicurarsi almeno una vittima.

Anfitrite è spesso rappresentata mentre assiste Poseidone nell’attaccare i cavalli marini al suo carro.

I figli di Poseidone

I Ciclopi

I Ciclopi, erano i figli di Poseidone e Anfitrite. Erano una razza selvaggia di esseri cresciuti fino a divenire di statura enorme, simile nella loro natura ai Giganti nati dalla terra. Avevano ciascuno un solo occhio, proprio al centro della fronte. Condussero una vita in sprezzo a tutte le leggi, non possedendo né costumi sociali né il timore degli Dei, ed erano gli operai di Efesto, la cui officina doveva essere nel cuore della montagna vulcanica dell’Etna.

Qui abbiamo un altro esempio lampante del modo in cui i Greci personificavano i poteri della natura che vedevano in azione intorno a loro. Guardando con stupore, mescolato al timore, il fuoco, le pietre e le ceneri che sgorgavano dalla cima di questa e di altre montagne vulcaniche, grazie alla loro vivacità di immaginazione, trovarono una soluzione del mistero nella supposizione che il dio del Fuoco doveva essere impegnato con i suoi uomini nelle profondità della terra, e che le potenti fiamme che vedevano, uscivano in questo modo dalla sua fucina sotterranea.

Il più famoso fra i Ciclopi è il mostro mangiatore di uomini Polifemo, descritto da Omero, che venne accecato e infine ingannato da Odisseo. Questo gigante si innamorò di una bella ninfa chiamata Galatea; ma, come si può intuire, le sue avance non furono gradite alla bella fanciulla, che lo respinse perché innamorata invece di un giovane, chiamato Aci, al quale Polifemo, con la sua solita barbarie, tolse la vita gettandogli contro un gigantesco sasso. Il sangue dell’assassinato Aci, sgorgando dalla roccia, formò un ruscello che si prese il suo nome e che si chiama così anche oggi.

Tritone, Rodo (a lei deve il nome dell’isola di Rodi, che in realtà derivano entrambi dal greco antico ῥοδον – rhodon-, che significa «rosa»), e Bentesicima, erano anche essi tutti figli di Poseidone e Anfitrite.

I giganti

Il dio del mare era inoltre il padre di due giganti chiamati Oto ed Efialte. È degno di nota il fatto che i figli di Poseidone, per la maggior parte, si distinguevano per la loro grande forza e la turbolenza del loro carattere, in armonia con l’elemento di cui il loro papà era la divinità presiedente. 

Erano dei colossi potenti e intrattabili, focosi e impazienti per natura, che rendevano perciò vani tutti gli sforzi che gli altri facevano per controllarli; a tutti gli effetti, quindi, erano degni rappresentanti del loro capostipite, il boss indiscusso degli oceani. 

Quando questi suoi pargoli avevano solo nove anni, si diceva che fossero alti già ventisette cubiti, cioè quasi 14 metri, e che ne fossero larghi nove, cioè circa 4 metri e mezzo.

Ora, un cubito si calcolava della lunghezza che va dal gomito all’estremità del dito medio, e quindi si tratta di un’unità di misura piuttosto approssimativa; tuttavia oggi lo si può valutare intorno ad una lunghezza che va dai diciassette a diciotto pollici, circa mezzo metro appunto.

Questi giovani giganti erano tanto ribelli quanto potenti, arrivando a pretendere di minacciare persino gli dèi stessi con le loro ostilità. Durante la guerra della Gigantomachia, arrivarono infatti fino al punto di tentare di scalare il cielo, impilando imponenti montagne l’una sull’altra. 

Erano già riusciti a collocare il monte Ossa sull’Olimpo e il Pelio sull’Ossa, quando questo empio progetto di perverso Lego fu vanificato da Apollo, che li decimò con le sue frecce micidiali. Per giustificare questo massacro, si sostenne che se le loro vite non fossero state falciate via in questo modo, prima che essi raggiungessero la piena maturità, tutti i loro disegni più sacrileghi si sarebbero realizzati.

Pelie e Neleo

Anche Pelia e Neleo erano figli di Poseidone. La loro madre Tiro era legata al dio fluviale Enipeo, la cui forma fu assunta da Poseidone, che così poté conquistare, seppure con l’inganno, il suo amore. Pelia divenne poi famoso nella storia degli Argonauti, mentre Neleo fu il padre di Nestore, che si distinse nella guerra di Troia.

L’inventore del cavallo che perse Atene

I Greci credevano di essere in debito nei confronti Poseidone per la creazione del cavallo, che si dice fosse stato una sua creazione e un suo dono al genere umano. Ecco come andarono i fatti: Atena e Poseidone rivendicavano entrambi il diritto di vedere intitolata a loro nome la città di Cecropia (l’antico nome di Atene), e ne sorse una violenta  disputa, che fu infine risolta da un’assemblea degli Dei dell’Olimpo. Questi decisero che qualunque delle due parti contendenti avesse presentato all’umanità il dono più utile, questa avrebbe dovuto ottenere il privilegio di dare il suo nome alla città. 

A questo punto Poseidone colpì il suolo con il suo tridente, e subito il cavallo ne balzò fuori con tutta la sua forza selvaggia e la sua aggraziata bellezza. Al che Atena toccò a sua volta il suolo con la sua bacchetta, ed ecco che ne uscì l’ulivo. Gli dèi assegnarono all’unanimità la vittoria a lei , dichiarando che il suo dono era l’emblema della pace e dell’abbondanza, mentre quello di Poseidone era ritenuto il simbolo della guerra e dello spargimento di sangue. Atena di conseguenza chiamò la città Atene, dal suo nome, e la città mantenne questo toponimo per sempre.

Poseidone domò il cavallo per l’uso dell’umanità e si credeva che avesse insegnato agli uomini l’arte di gestire questi destrieri per le briglie. In onore di Poseidone furono istituiti i giochi istmici (così chiamati perché si tenevano sull’istmo di Corinto), in cui le corse dei cavalli e dei carri erano una caratteristica distintiva.

La contesa fra Atena e Poseidone, Noël Hallé

Culto

Il dio era venerato particolarmente nel Peloponneso, sebbene fosse universalmente oggetto di culto anche in tutto il resto della Grecia e nell’Italia meridionale. Durante i sacrifici a lui dedicati, generalmente venivano immolati dei tori bianchi e neri, ma anche cinghiali e arieti. I suoi attributi abituali sono il tridente, il cavallo e il delfino.

In alcune parti della Grecia questa divinità è stata identificata con il dio del mare Nereus, per questo motivo le Nereidi, o figlie di Nereo, sono rappresentate mentre lo accompagnano.

Nettuno

Anche i Romani adorarono Poseidone sotto il nome di Nettuno e gli diedero gli stessi attributi che appartengono alla divinità greca. I comandanti romani non intrapresero mai nessuna spedizione navale senza propiziare prima Nettuno con un sacrificio.

Il suo tempio a Roma era in Campo Marzio e le feste commemorate in suo onore erano dette Neptunalia.

Ben-Hur

(Libera rielaborazione da E. M. Berens. “The Myths and Legends of Ancient Greece and Rome”, 1880,)

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