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DEMETRA – III – IL MITO NELL’ARTE

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 < – Nelle puntate precedenti: Persefone (la Proserpina dei romani) figlia di Demetra (in latino Cerere), giovane e bella fanciulla, viene rapita da Ade, dio degli inferi (chiamato Plutone nell’Antica Roma) che la porta con sé nell’Oltretomba. Demetra reclama il ritorno della figlia e alla fine si arriva ad un’accordo: La ragazza vivrà sei mesi l’anno con la madre e sei mesi con il Principe delle Tenebre, nella sua dimora. Abbiamo visto le festività, i culti, i riti e i misteri dedicate alle figure di Demetra e Persefone in Grecia, così come la loro assimilazione alle divinità italiche Cerere e Proserpina e i culti specifici riservati alle dee nel Lazio e poi in tutto quello che sarà l’Impero Romano.

– Che cos’è un “inno”?

In the Garden of Proserpina, 1893, Henry A. Payne (1838–1904)

In the Garden of Proserpina, 1893, Henry A. Payne (1838–1904)

Ce lo spiegano gli esperti del sito web francese Odysseum, un portale di risorse dedicate alla lingua, alla cultura e alla civiltà antiche a cura del Ministero dell’educazione francese https://eduscol.education.fr/odysseum/hymne-homerique-demeter-vers-1-32-lenlevement-de-persephone-texte-et-traduction.

Lasciamo quindi a loro la parola:

– “La parola ‘inno” (in greco antico: ὕμνος, hýmnos), ha un’etimologia incerta.

Si trova citata una sola volta in Omero, nel canto VIII dell’Odissea (v. 429: […] ἀοιδῆς ὕμνον ἀκούων, “ascoltando la melodia [o la declamazione] del canto”, ove si parla del canto dell’aedo Demodoco).
L’inno include spesso elementi narrativi – e infatti Demodoco racconta episodi della guerra di Troia o gli amori di Ares e Afrodite – ma il termine si è progressivamente specializzato per designare un canto di celebrazione di una particolare divinità. Per Platone, nello Stato ideale dovrebbero essere ammesse solo due forme di poesia: “gli inni agli dei” e “e le lodi ai virtuosi” ( Repubblica , X, 607a: ὕμνους θεοῖς καὶ ἐγκώμια τοῖς ἀγαθοῖς). L’“inno” è quindi sia un testo letterario che religioso. ” –

Saffo e Alceo, di Lawrence Alma-Tadema, 1881

Saffo e Alceo, di Lawrence Alma-Tadema, 1881

– Cosa significa “omerico”?

Ecco come continua a spiegarcelo il sito Odysseum:
– “Il nome “Inno omerico”, o meglio “Inni omerici” dato che se contano 34,  è riferito ad una raccolta di poesia arcaica i cui testi mostrano di essere stati composti nella stessa lingua e con la stessa metrica utilizzate da Omero, oltre al fatto e che vi troviamo le caratteristiche principali della poesia orale, come in particolare nel ricorso ad un certo stile, per la trattazione di alcuni temi caratteristici e infine per la forma. Tutti questi elementi dunque, presentano in questi inni un riferimento al cosiddetto “mondo omerico” che sta alla base infatti dei poemi di Omero più conosciuti. La diffusione dei poemi omerici di natura epica, e la fama che Omero stesso ebbe in tutto il mondo greco, favorì la formazione di confraternite di rapsodisti, cantanti itineranti che andavano di città in città recitando e intonando brani di poemi omerici o di altri componimenti epici antichi.
Omero e la sua guida, William-Adolphe Bouguereau, 1874

Omero e la sua guida, William-Adolphe Bouguereau, 1874

Il prestigio della poesia di Omero, dunque, era tale che ogni nuova composizione di natura epica e religiosa, come la giovinezza o le gesta di un dio, doveva essere redatta in stile omerico appunto; così fu dunque per questi Inni, composti dall’inizio dell’età arcaica fino all’epoca tarda, e diffusi nei grandi santuari e nei luoghi di culto delle principali divinità o cantati in loro onore nelle feste e nelle cerimonie pubbliche.” –

– L’inno a Demetra omerico

–  “L’ Inno omerico a Demetra, comprende 495 versi, e risale ad una data tra la seconda metà del VII ° e la prima metà del VI° e a.C.
Si tratta di un testo importante, sia per la qualità letteraria che per il suo ruolo di documentazione intorno ai riti religiosi, dal momento che fornisce indicazioni sul culto di Demetra ad Eleusi.

L’opera si apre con un proemio che invoca la divinità, oggetto della presente celebrazione (v. 1: Δήμητρ ‘ἠΰκομον σεμνὴν θεάν, “Demetra dai bei capelli, dea venerabile“) e dove l’aedo parla in prima persona (v. 1 : ἄρχομ’ ἀείδειν, “Io comincio a cantare“), come avviene in Omero o in Esiodo

Il racconto del rapimento di Persefone è introdotto attraverso un’anticipazione del fatto stesso (v. 2-3: αὐτὴν ἠδὲ θύγατρα τανύσφυρον ἣν Ἀϊδωνεὺς / ἥρπαξεν), sempre alla maniera di Omero.

L’episodio comprende una prima parte descrittiva (fino al versetto 15), seguita da quella propriamente drammatica in cui compare il dio degli Inferi, venuto a rapire la fanciulla. Si basa su una sequenza rituale che si ritrova in molte leggende e che si compone di tre momenti: la raccolta dei fiori, il rapimento della giovane, la teogamia. In questa sequenza i fiori assumono naturalmente una funzione altamente simbolica.” – (da Odysseus cit.)

Primavera, Émile-René Ménard, 1862–1930

Primavera, Émile-René Ménard, 1862–1930

– L’inno a Demetra di Callimaco

– “La tradizione degli Inni in esametri –  questa volta come opera di puro esercizio letterario – fu ripresa in epoca ellenistica dal poeta Callimaco, che era anche προστάτης – prostátes (cioè sovrintendente) presso la Biblioteca di Alessandria: l’Inno dunque non costituisce più per sé un canto rituale per la gloria di una divinità, ma ricostruisce in veste letteraria il cerimoniale, rappresentandolo come fosse una composizione scenica.
Così, all’inizio dell’Inno a Demetra di Callimaco, il narratore – in questo caso una donna – impartisce le sue istruzioni ad altre compagne che celebrano il culto della dea:

“Τῶ καλάθω κατιόντος ἐπιφθέγξασθε, γυναῖκες · “Δάματερ, μέγα χαῖρε, πολυτρόφε πουλυμέδιμνε”.

“Quando il kalathos viene portato, donne, fate risuonare il vostro grido: ‘Salve Demetra, Salve, grande nutrice, dea del raccolto! “

Il kalathos era un cesto fatto di vimini o di canne che le donne portavano durante la processione dal tempio di Eleusi a quello di Demetra Tesmofora ad Atene e che conteneva gli oggetti sacri .” – (da Odysseus cit.)

Nella letteratura

– L’Elena di Euripide

Anche Euripide nel suo dramma Elena, rievoca la vicenda di Demetra identificandola, sembra, ad un’altra divinità Rea.

“Ma fiammeggiar la voce sua nel talamo tuo non facesti, o figlia, non fosti pia, le sacre cerimonie non celebrasti; e sopra te di Dèmetra s’abbatté grave il cruccio.” Euripide – Elena (trad. E. Romagnoli)

Esiodo ci canta l’origine della dea

Il grande poeta greco ci canta prima la sua discendenza da Crono e Rea, e poi la relazione con Zeus da cui nacque Persefone;

Demetra in lutto per Persefone, Evelyn De Morgan, 1906

Demetra in lutto per Persefone, Evelyn De Morgan, 1906

Il letto ei poscia Dell’alma Cere ascese, e la fe’ madre Di Proserpina candida le bracci

a, Cui rapì Dite alla sua madre, in moglie Già datagli da Giove.

Trad. Lorenzo Pozzuolo

Molti secoli dopo, il grande poeta Virgilio invece, come è ovvio,  scrive più sulla controparte latina della Dea, che si chiamava Cerere, descrivendo nei suoi versi le feste degli Ambarvali:

“Onora gli dei sopra ogni cosa, e offri alla grande Cerere un sacrificio annuale compiendo i riti su ricchi pascoli, quando il declino dell’inverno estremo lascia già il posto alla serena primavera.

Così gli agnelli sono grassi e i vini assai dolci; poi il sonno è amabile e le ombre son fitte sui monti.

Che tutta la gioventù contadina adori te Cerere, mescoli in suo onore i favi di miele col latte e il dolce vino di Bacco;

la vittima propiziatoria giri tre volte intorno ai nuovi raccolti; che tutto il coro e i tuoi seguaci lo accompagnino con gioia e richiamino con le loro grida te Cerere nella tua residenza;

e che nessuno alla fine porti la falce alle spighe mature prima di aver celebrato, in onore di Cerere, i templi cinti da una corona di quercia, e celebrato le danze senza arte e senza aver cantato gli inni.”

Virgilio, Georgiche, Libro I, vv.338-350

Ovido: Fasti e Metamorfosi

Il materiale sopravvissuto fino a noi dei frammenti di inni orfici ove si tratta del ratto di Persefone-Proserpina, viene ripreso anche da Ovidio nel libro quarto dei Fasti (v. 417-618) in cui il mito è ambientato in Sicilia, Trittolemo è figlio di Celeo e la dea lo guarisce da una grave malattia per iniziarlo poi al suo culto.

Di Proserpina il ratto il loco istesso Vuol ch io narri n’avrai più cose intese Poco fia quel che a udir ti resta adesso Con tre suoi scogli inoltrasi il paese Trinacrio delmar vasto in seno all’onda Da questa positura il nome prese Ha Cerere colà sede gioconda V’ha più città tra quelle avvien che dea Gusto a lei pel suol colto Enna feconda

Ma ad Ovidio si deve la versione più celebre del mito, cantata nelle sue Metamorfosi.

Persephone di Anthony Frederick Augustus Sandys 1829-1904

Persephone di Anthony Frederick Augustus Sandys 1829-1904

Le metamorfosi (Metamorphoseis, in latino; dal greco μεταμόρφωσις, ‘trasformazione’) è un celeberrimo poema in quindici libri che racconta la storia del mondo dalla sua creazione fino alla divinizzazione di Giulio Cesare, alternando in maniera assai libera, la mitologia e storia. Fu completato nell’8 d.C.

Si tratta di un capolavoro assoluto dell’età aurea della letteratura latina. Fu uno dei classici più letti durante tutto il Medioevo e il Rinascimento, ha ispirato numerosi artisti, tra cui Tiziano, Velázquez e Rubens e continua a esercitare una profonda influenza sulla cultura occidentale.

È il poeta latino di Sulmona, in quest’opera, che definisce per primo la storia del rapimento secondo i paradigmi e gli elementi stilistici che verranno poi riutilizzati infinte volte dagli scrittori successivi di ogni tempo e nazione.

È lui ad ambientare  la vicenda sulle rive del lago Pergusa a Enna in Sicilia (anche se in realtà già lo storico Diodoro Siculo, vissuto tra il 90 e il 27 d.C. aveva indicato Enna come luogo d’ambientazione del mito), ma cosa più importante, inserisce il mito nel quadro di un disegno divino già predisposto non tanto da Zeus-Giove, come nella tradizione più antica, ma da Afrodite-Venere, che vedendo dall’alto della sua dimora celeste la bella fanciulla intenta a raccogliere – ignara – dei fiori, concepisce il disegno di unirla ad Ade e perciò assegna l’incarico al suo divino figlio: Eros, Cupido o Amore.

Venere, c’havea ogni hor la mente accesa Di crescere à se nome, imperio al figlio, Proserpina vedendo essere intesa À corre, e à inghirlandar la rosa, e ’l giglio, Le cadde in mente un’honorata impresa,

Pluto and Proserpine, Bryson Burroughs, 1930

Pluto and Proserpine, Bryson Burroughs, 1930

E volse ver Cupido il lieto ciglio, Et accennando in questa parte, e ‘n quella, Gli fe veder Plutone, e la Donzella. Publio Ovidio NasoneLe Metamorfosi (Traduzione di Giovanni Andrea dell’Anguillara  -1561)

Claudio Claudiano e Mary Shelley

Anche Claudio Claudiano, senatore e poeta all’epoca dell’imperatore romano Onorio, compose un poemetto in quattro libri sul ratto di Proserpina, che influenzò un celebre quadro di Rembrandt sullo stesso argomento.

Mary Shelley, l’autrice del celeberrimo romanzo gotico horror Frankestein, per intenderci, nel 1820, scrisse un dramma in versi, Proserpina (Proserpine) durante il soggiorno in Italia assieme al marito, il celebre poeta Percy Bysshe Shelley.

La prima edizione di Proserpine di Mary Shelley sul Winter's Wreath (1832)

La prima edizione di Proserpine di Mary Shelley sul Winter’s Wreath (1832)

Mary Shelley narra la vicenda dal punto di vista di Cerere, concentrandosi sul tema della separazione della figlia dalla madre, e della solidarietà che quest’ultima riceve da le altre donne. Cerere rappresenta la vita e l’amore, l’elemento materno e femminile, mentre Plutone è il simbolo della violenza maschile, della forza, della morte .

L’opera quindi trae spunto dal mito, nella versione redatta da Ovidio, per metter il luce il tema universale e sempre attuale della contrapposizione tra la condizione della donna e la brutalità di un sistema di potere e di convenzioni di tipo patriarcale, che solo la solidarietà delle donne con altre donne può arginare.

Musica

La vicenda di Demetra e Persefone ha ispirato diversi compositori nel corso dei secoli, il più recente è del 2019:“Proserpine”,  opera lirica in due atti con musiche composte da Silvia Colasanti basato sull’omonimo testo di Mary Shelley adattato da René de Ceccatty e Giorgio Ferrara in lingua originale inglese. L’opera ha inaugurato il 62° Festival dei Due Mondi di Spoleto. Pierre-André Valade ha diretto l’Orchestra Giovanile Italiana. Regia di Giorgio Ferrara, scenografie a cura di Sandro Chia. (https://www.rai.it/ufficiostampa/assets/template/us-articolo.html?ssiPath=/articoli/2019/09/La-Proserpine-di-Silvia-Colasanti-6f61e02f-7c3e-4521-aa49-01ab76171725-ssi.html)
Ma come dicevamo anche molti autori, in precedenza, hanno affrontato sullo spartito il mito di Persefone. con diversi drammi e opere, come quella di Jean-Baptiste Lully che compose una tragedia lirica chiamata Proserpine nel 1680.
Nel Novecento, fu invece Igor Stravinsky, a cavallo fra il 1933 e il1934 a comporre un’opera chiamata Perséphone, su testo in francese di André Gide .
Infine, il compositore britannico George Lloyd si è ispirato al mito di Persefone nella sua Settima sinfonia che porta il titolo appunto di Symphony No. 7 “Proserpine”.

Arte antica

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Per quanto riguarda Persefone nello specifico, in Attica questa dea era preferibilmente chiamata Cora, ossia “la fanciulla”. In quanto sposa di Ade, re degli Inferi, anch’essa finì per essere una potenza tenebrosa, che trascinare via con sé i vivi nell’oscurità della terra.

Pinax di Persefone e Ade in trono, dal sacro santuario di Persefone a Locri. Locri fu nell'antichità un'importante colonia della Magna Grecia, anche per la sua posizione, situata, come è noto, sulla costa del Mar Ionio in Calabria. Il termine "pinax" (πίναξ) ("pinakes" al plurale - πίνακες) o "pittura" indica una tavoletta votiva in legno dipinto o terracotta, oppure un rilievo in marmo o in bronzo, che fungevano da ex voto e venivano depositati in un santuario o in una camera funeraria.

Pinax di Persefone e Ade in trono, dal sacro santuario di Persefone a Locri. Locri fu nell’antichità un’importante colonia della Magna Grecia, anche per la sua posizione, situata, come è noto, sulla costa del Mar Ionio in Calabria. Il termine “pinax” (πίναξ) (“pinakes” al plurale – πίνακες) o “pittura” indica una tavoletta votiva in legno dipinto o terracotta, oppure un rilievo in marmo o in bronzo, che fungevano da ex voto e venivano depositati in un santuario o in una camera funeraria.

Persefone e Ade erano il corrispettivo di Era e di Zeus, Omero stesso nelle sue opere fa degli accenni a questa simmetria del ruolo delle due coppie, nel mondo dei vivi l’una e nel regno dei morti l’altra.

Col tempo Persefone assunse il doppio aspetto di fanciulla gentile e pura che risorge ogni anno a nuova vita, e quello di oscura e inesorabile regina dell’Oltretomba. Insomma: Biancaneve e la Regina Cattiva unite in una sola persona: un pacchetto unico! All inclusive!

Persefone quindi, nelle segrete dottrine dei misteri, divenne il simbolo stesso dell’immortalità dell’anima.

Persefone, si è già detto, divenne Proserpina, per i romani, moglie di Plutone e appunto regina degli inferi, ed abbiamo anche già parlato del fatto che venne assimilata al culto di Cerere, ragion per cui con lei si identificò la dea Libera, il contraltare femminile di Liber o Bacchus.

 Denario raffigurante rispettivamente la dea e il dio Libera e Libero. Questo Denario venne coniato da Lucio Cassio Longino, uomo politico repubblicano dell’Antica Roma che emise monete nel 78 a.C. (lo stesso anno infatti in cui venne battuta la moneta nella foto) e fu pretore nel 66 aC. Le sue monete sono incise con la dicitura L·CASSI·Q·F (fonte: British Museum – https://www.britishmuseum.org/collection/term/BIOG17717)

George Wilson, La Strega della Primavera - 1880 circa

George Wilson,La Strega della Primavera – 1880 circa

Orazio e la Persefone ambigua

Questo carattere ambivalente (ingenuo ed oscuro) risulta evidente nel poeta latino Orazio che scrive nel libro I dei suoi Carmina

“Miste di vecchi e giovani s’addensan l’esequie: a nessuno L’implacabil Proserpina perdona.”

Orazio Carm. I. 28, 20

Ma anche nelle Odi, nel libro II, XIII, scrive “…furvae regna Proserpinae” (“l’oscuro regno di Proserpina”) e Dante lo seguirà definendola nell’Inferno “la regina de l’etterno pianto” – If .IX 44.

Il ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini

Non è possibile chiudere questa rassegna sui riferimenti artistici alle figure di Demetra e Proserpina, senza parlare di quella che è forse la scultura più famosa dedicata al mito: Il ratto di Proserpina, di Gian Lorenzo Bernini.


L’opera, come è noto, è una grande scultura in marmo in stile barocco dell’artista noto anche semplicemente come “Il Bernini”, scolpita tra il 1621 e il 1622. Bernini aveva solo ventitré anni quando la completò.

Leggiamo la descrizione del complesso scultoreo, tratto da “Il Pincio Antico e Moderno” di Scipione Provinciali · 1865

– “…Ma tornando al gruppo di Plutone e di Proserpina, è esso semicolossale, pieno di espressione, di bella composizione. La figura del Dio in special modo, pieno di ansia, e quasi di un qualche timore suscitatogli da quel soave peso, è vivissima, e ritrae eccellentemente la natura; la fanciulla, tutta spaventata, si divincola con tutte le sue forze dalle robuste braccia del divino rapitore, e si rivolge a chiedere aiuto, e quasi allo stesso tempo anche a rimirare quei cari luoghi della Sicilia e quei fiori che andava cogliendo.Il disegno è davvero bello, come ancora le pieghe ; ma quel che è prodigioso in questa bella scultura è l’esecuzione. Si stimava che lo scalpello non potesse far di più, non potesse vincere maggiori difficoltà dopo il gruppo di Apollo e Dafne, ma in quest’opera è tale la maestria, che non solo i moderni, ma anche gli antichi Greci e i Romani, giudicando da quel che di essi c’è rimasto, mai non giunsero neppure loro a scolpire una barba ed una chioma che stiano alla pari con quelle di questo Plutone. Il ferro ha tagliato questo marmo in modo da far spaventare tutti coloro che lavorano con gli scalpelli, e in modo che a malapena si potrebbe rendere utilizzando qualche tenero legno o della cera.” –

Persefone – Omero, Ovidio, Claudiano, Marino, Goethe, Tennyson, Swinburne, Ritsosa cura di Roberto DeidierEditore Marsilio. Consigliamo la lettura di questo testo per approfondire il tema delle variazioni sul mito di Persefone, così come sono state declinate nella letteratura, dai tempi più antichi, fino a quelli rispetto a noi più recenti. Come recita la quarta di copertina:

” Il rifiuto di morire è al centro di questa leggenda, appena mitigato dalla mediazione di un tempo diviso (metà dell’anno tra i vivi e l’altra metà tra i morti; così Omero, Ovidio, Claudiano), dal tentativo di addolcire l’immagine di Plutone ipotizzando un legame di amore-passione condiviso con la sposa rapita (Marino) – ma sostanzialmente tendente sempre più al pessimismo e alla negazione di fronte al fato irreversibile (Goethe, Swinburne, Tennyson, Ritsos). Così Persefone, simbolo eterno della fragilità umana, rimane per sempre al limite, sospesa nella ambigua zona di confine che separa la ridente prateria siciliana dai terrificanti abissi del nulla.”

…ma non finisce qui signore e signori! Continuate a seguirmi!

 Nel prossimo episodio – > :    Esploreremo insieme l’attualità del mito di Demetra e Persefone, la sua presenza costante, pur se spesso non esplicita, nei simboli, negli archetipi e nella narrazione sia della letteratura che del cinema. Scopriremo i legami nascosti intrecciati tra la storia della fanciulla di Enna e la favola de “La Bella e la Bestia” o “Dracula” di Stoker e di Coppola o i racconti di Edgar Allan Poe e molto altro…

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